Il fenomeno del vino in anfora nell'Italia di oggi

Traduction(s) :
Le phénomène du « vin en amphore » dans l’Italie d’aujourd’hui

Résumé

Alcuni vignaioli italiani sviluppano oggi nuovi principi enologici legati all'uso, ben conosciuto nell'antichità, di contenitori di ceramica, al fine di creare vini originali rispetto alla miriade di produzioni caratterizzate da note legnose legate all’invecchiamento in botte.
Dopo uno sguardo alle fonti antiche, letterarie ed archeologiche, l'articolo fornirà un quadro, non esaustivo, dei vini italiani prodotti o invecchiati in anfora, secondo metodi di vinificazione differenti. Questi vini sono il riflesso del talento di ogni vignaiolo e delle specificità territoriali, dal Friuli al Trentino-Alto Adige, dalla Toscana all'isola di Pantelleria.

Plan

Texte

Da circa una dozzina di anni, alcuni vignaioli italiani, animati dalla volontà di percorrere nuove strade nel mondo del vino, hanno lanciato una sfida: riproporre nella quotidianità l'uso dei contenitori in ceramica per il vino, ricollegandosi a tradizioni che risalgono all'antichità e ormai scomparse da diversi secoli dalla penisola italiana. Alcuni di loro hanno trovato ispirazione in Spagna o in Georgia, paesi dove la filiera viticola locale utilizza ancora le anfore in terracotta per la vinificazione e lo stoccaggio; altri produttori italiani, invece, hanno scelto di attingere dal cuore delle risorse ceramiche regionali al fine di creare forme inedite e più adatte alle loro esigenze. Dopo un'introduzione storica sulle relazioni tra vino e ceramica, partendo dall'antico Oriente fino all'Italia antica, l'articolo proporrà un quadro dei viticoltori italiani che hanno partecipato e partecipano attivamente alla nascita di questo nuovo sguardo sull'universo del vino.

Le ceramiche e il vino: un destino che si è incrociato millenni fa

Le origini del vino e delle ceramiche in oriente.

La tradizione localizza le origini della viticoltura e del vino in una zona compresa tra la Turchia, il Caucaso e il nord dell'Iran, e i ritrovamenti archeologici sembrano confermare quest'ipotesi. Il professor P. E. McGovern, dell'Università della Pennsylvania, analizzando campioni prelevati da anfore in terracotta ritrovate a Hajji Firuz Tepe, nel nord dei Monti Zagros in Iran, ha rilevato la più antica traccia di vinificazione, grazie alla presenza di acido tartarico e di resina di terebinto, usato all'epoca come agente di conservazione1. Questa scoperta, insieme a quelle realizzate sul sito di Shularevi, in Georgia, fanno risalire le prime tracce di vinificazione e di stoccaggio del vino in recipienti di ceramica al VI° secolo a.C.2

Fotografia n°1: coccio di un'anfora proveniente dal sito di Hajji Firuz Tepe, con residui di tartaro di potassio, Iran, 5400-5000 a.C., Exposition Le vin , nectar des Dieux, génie des Hommes, museo Henry Prades, Lattes.

Fotografia n°1: coccio di un'anfora proveniente dal sito di Hajji Firuz Tepe, con residui di tartaro di potassio, Iran, 5400-5000 a.C., Exposition Le vin , nectar des Dieux, génie des Hommes, museo Henry Prades, Lattes.

Più recentemente, il sito di Areni-1, in Armenia, vicino alla frontiera con l'Azerbaigian, è stato ispezionato da un'equipe di archeologi americani ed armeni che hanno portato alla luce quella che è considerata come la più antica installazione vinicola del mondo, datata 4100 a.C. Questo sito presenta resti di un torchio, una cisterna in argilla utilizzata per la raccolta del mosto e vasi in ceramica per la conservazione del vino.3

A partire dal Neolitico, l'uso della ceramica per la conservazione del mosto, la sua vinificazione, lo stoccaggio e il trasporto del vino, sembra diffondersi nelle civiltà orientali e mediterranee di pari passo con la viticoltura e la consumazione del vino, come attestano le numerose testimonianze archeologiche.

Sul sito di Godin Tepe, negli Zagros, in Iran, gli archeologi hanno scoperto anfore contenenti residui di vinificazione datati intorno al 3500 a.C.; per lo stesso periodo, prove analoghe si rinvengono anche in Siria, in Anatolia e in Giordania4; in Egitto, centinaia di anfore contenenti vino proveniente dalla Palestina e da Israele (relativo dunque a un’epoca precedente la produzione locale di vino) sono state ritrovate nella tomba del re Scipione (3150 a.C.).

Fotografia n°2: anfore egiziane, 3100-2700 a.C., Abydos, tombe dei re delle due prime dinastie del periodo Tinita, Museo del Louvre, Parigi.

Fotografia n°2: anfore egiziane, 3100-2700 a.C., Abydos, tombe dei re delle due prime dinastie del periodo Tinita, Museo del Louvre, Parigi.

Phitos, amphore et dolium nel mondo mediterraneo

A partire dal III° millennio a.C., in Grecia e a Creta, insediamenti vinicoli e cantine ospitano i phitos, grandi anfore di ceramica di diverse dozzine di ettolitri di capacità, utilizzate durante tutto il periodo classico, ma anche ellenistico e romano.

In Italia, la presenza della vigna selvatica e la consumazione dei suoi frutti sono attestate a partire dal periodo preistorico. I primi esempi di vigna coltivata appaiono verso la metà del II° millennio a.C., nella zona di Ischia e Procida, sulla costa Tirrenica, zona di precoce contatto con il mondo Miceneo. Nel sud d'Italia, il legame tra la produzione locale di vino e i contenitori in ceramica avviene presto, tra il VII° e il VI° secolo a.C.: come esempio è possibile citare la perlustrazione di una capanna di un vignaiolo, quasi sicuramente un colono greco, a Pithecusa, sull'isola di Ischia, luogo di ritrovamento di phitoi e anfore.5

Più a nord, in Etruria, dal VII° secolo a.C. emerge una produzione di vino conservato in anfore e destinato al mercato della Gallia.

Fotografia n°3: anfora etrusca, 500 a.C., relitto di Grand Ribaud F., Var, deposito DRASSM, Museo di storia naturale di Marsiglia.

Fotografia n°3: anfora etrusca, 500 a.C., relitto di Grand Ribaud F., Var, deposito DRASSM, Museo di storia naturale di Marsiglia.

È in questo stesso periodo che appaiono le grandi anfore chiamate dolia (dolium al singolare), in tutta la regione occidentale del Mediterraneo e che si ritroveranno in seguito anche nelle cantine dell'Italia, della Gallia del sud e della Spagna della fine della Repubblica.

Così, nel II° secolo a.C., in Italia si assiste ad una specializzazione delle grandi proprietà agricole che prediligono una viticoltura di quantità praticata su tutta la costa Tirrenica, con il mercato della Gallia e quello spagnolo come principali sbocchi. La produzione di vino esportato in anfore verso la Gallia è calcolabile in diversi milioni di hl.6 Di ciò si ha testimonianza archeologica nei milioni di cocci di anfore ritrovati sia in Gallia che in Italia.

Fotografia n°4: ricostruzione del carico di anfore italiche Dressel 1, Esposizione Vin, Nectar des Dieux, génie des Hommes, Museo Henry Prades, Lattes.

Fotografia n°4: ricostruzione del carico di anfore italiche Dressel 1, Esposizione Vin, Nectar des Dieux, génie des Hommes, Museo Henry Prades, Lattes.

I testi di agronomia dell'epoca romana offrono preziose informazioni sulla natura e la qualità dei prodotti vinicoli della penisola, nonché sui materiali delle villae, i processi di vinificazione e quelli di conservazione. Questi testi, che vengono in aiuto al completamento degli scavi archeologici, mostrano l'importanza delle dolia. Con una capacità media da 10 a 20 hl, le dolia, cotte in forni speciali, divengono impermeabili solo dopo la cottura, con l'aiuto della pece7. Quest'ultima, risultante dalla pirogenazione di rami di piante resinose, è un catrame vegetale dai molteplici utilizzi nell'antichità. Materiale impermeabilizzante per dolia, anfore e botti, la pece vanta anche virtù antibatteriche e fungicide, ben conosciute dagli agronomi. Prodotto enologico largamente utilizzato, cosi come le diverse resine, la pece presenta però lo spiacevole inconveniente di marcare fortemente il vino a livello aromatico. È proprio per questo che Plinio e Columella sostenevano, nel I° secolo d.C., che il miglior vino è, senza alcuna ombra di dubbio, quello realizzato senza prodotti aggiunti8 e nelle dolia esenti da collanti.9

Catone, nel primo quarto del II° secolo a.C., raccomanda ai viticoltori di tenere nelle proprie cantine almeno cento dolia e un volume totale di 800 cullei, cioè all'incirca 4208 hl10, per essere certi di poter stoccare almeno cinque annate contemporaneamente. Le dolia venivano interrate per ¾, liberando lo spazio nelle cantine e, soprattutto, assicurando un controllo naturale delle temperature nel delicato momento della fermentazione, nonché assicurando una corretta conservazione durante tutto l'arco dell'anno.

Fotografia n°5: cantina con dolia della villa Regina a Boscoreale, 79 d.C.

Fotografia n°5: cantina con dolia della villa Regina a Boscoreale, 79 d.C.

In seguito, i processi di produzione viticola seguirono un itinerario tecnico più prossimo ad una vinificazione moderna: le uve pigiate direttamente dopo la raccolta non maceravano nel succo durante la fermentazione. Il trasporto in panieri (causa di schiacciamento del raccolto) e la fase piuttosto prolungata dell'ammostatura dovevano permettere alle uve nere di liberare gli antociani contenuti nelle bucce a contatto dei succhi provenienti dalla polpa.

Fotografia n°6: pressa della villa dei Misteri a Pompei, 79 d.C.

Fotografia n°6: pressa della villa dei Misteri a Pompei, 79 d.C.

A partire dal I° secolo d.C., i contenitori in ceramica si trovano ben presto in concorrenza con i contenitori in legno,11 anche se si hanno testimonianze della produzione di anfore italiane destinate al vino datate al IV-V° secolo d.C.12 In ogni caso, sembra che alla fine dell'antichità l'uso dei contenitori di ceramica scompaia in maniera quasi definitiva dalla penisola italiana; in attesa che vignaioli illuminati ne riscoprissero i benefici.

Le tradizioni ancora pulsanti nel Mediterraneo e nel Caucaso come elemento di influenza

Come accennato, l'uso della ceramica per la vinificazione nella regione del Caucaso risale a diversi millenni fa. In Georgia esiste ancora qualche vasaio capace di foggiare delle grandi anfore chiamate qvevri che, come le dolia romane, vengono interrate nelle cantine e ricoperte, all'uscita dal forno, da uno strato di argilla.

In Spagna, la tradizione di vinificare e stoccare il vino in grandi anfore chiamate tinajas è ancora viva in alcune regioni e richiama l'interesse di diversi vignaioli. Le due principali regioni sono l'Andalusia e la comunità autonoma di Castilla-La Mancha.

Fotografia n°7: cantina con tinajas della bottega di César Velasco, Villarobledo, Comunità autonoma di Castilla-La Mancha.

Fotografia n°7: cantina con tinajas della bottega di César Velasco, Villarobledo, Comunità autonoma di Castilla-La Mancha.

È proprio in questa regione che, a partire dal XVII secolo, nasce un'industria ceramica molto importante, legata allo sviluppo dei vigneti e responsabile della produzione di quantità considerevoli di tinajas fino all’inizio del sec. XX. I due centri di produzione erano, all'epoca, Valdepenas e, soprattutto, Villarobleso, dove quest’arte è attiva ancora oggi. Le più grandi tinajas prodotte nel XIX°secolo vantavano una capacità di circa 70-80 hl per un'altezza di più di 3 metri, spesso ricoperte da uno strato di pece. Alcuni vignaioli italiani hanno deciso di abbracciare questa tradizione spagnola, acquistando delle tinajas non impermeabilizzate e con capacità non superiore ai 4,5 hl.

Perchè delle anfore per il vino?13

I viticoltori collegano in generale l'origine naturale dell'argilla alla neutralità della terra cotta, con la convinzione che questo materiale doni complessità ai vini e rispetti la purezza dell'espressione del frutto e del territorio. Ciò è spesso legato al rifiuto di “mascherare” il vino vinificandolo in barriques nuove. I vignaioli intendono in questo modo evitare gli aromi troppo marcati dovuti ai tannini naturalmente presenti nel legno di rovere. Ugualmente, essi apprezzano questo materiale per le sue capacità di regolazione termica.

Le forme generose di queste anfore permettono inoltre una circolazione naturale dei depositi del vino e quindi un arricchimento e una migliore stabilità. Grazie a queste proprietà numerosi vignaioli accettano la sfida di vinificare in anfore e senza l'utilizzo di SO2 : ciò è sintomatico di una filosofia “non interventista” secondo cui il vino “basta a sé stesso”.

Al riparo dall'ossigenazione, le anfore permettono un miglior controllo delle lunghe fermentazioni. Alcuni vignaioli ricorrono però alla pratica di lasciare le anfore scoperte e non sigillate, allo scopo di ottenere una micro-ossigenazione attraverso i pori della terra cotta, favorendo un'evoluzione benefica dei vini durante la fermentazione. In questo caso, i viticoltori sostengono di ottenere i vantaggi di una botte in legno senza gli aromi empireumatici o vanigliati legati al riscaldamento del legno o naturalmente presenti in esso e diffusi poi nel vino sotto forma di ellagitannini. Comunque sia, le anfore moderne, contrariamente a quelle dell'antichità, non rilasciano tracce di pece al loro contenuto, permettendo così di preservare l'integrità naturale degli aromi del vino.

Il ritorno delle ceramiche vinarie in Italia

Queste produzioni vengono spesso chiamate, erroneamente, “vini in anfora”, in Italia come in Europa14. Ora, va ricordato che il termine “anfora” veniva utilizzato nell'antichità in riferimento a recipienti in terracotta muniti di due anse15 con una capacità media di 25-30 litri, in uso in epoca greco-romana per il trasporto e la conservazione. Questo termine non è quindi idoneo per parlare di vini e soprattutto di contenitori utilizzati per la vinificazione.

Pithoi e dolia rinviano egualmente a produzioni antiche, abbandonate ormai da secoli;16 l'utilizzo di questi due nomi appare oggi come anacronistico ma viene utilizzato anche da parte di alcuni vignaioli italiani per indicare le loro cuvées. Nella maggior parte dei casi, comunque, il termine di “anfora vinaria” permette di designare questi contenitori di vinificazione in terracotta che si trovano nelle cantine di alcuni viticoltori contemporanei.

Gli adepti delle qvevri della Georgia

L'azienda agricola Francesco Gravner17

La proprietà Granvier è situata ad Oslavia, nel comune di Gorizia, nella regione del Friuli Venezia Giulia, vicino al confine con la Slovenia. Josko Gravner, viticoltore conosciuto a livello mondiale per la sua produzione di “vini arancioni”, ha una filosofia particolare per salvaguardare l'originalità del territorio e l'autenticità dell'uva nel vino. Disposto a rimettere in questione le proprie pratiche vitivinicole, è durante un viaggio in Georgia nel maggio del 2000, nella provincia di Kakheti, che scopre il vino bianco elaborato nelle qvevri. Questo vino, reduce da periodi di macerazione molto lunghi e da un affinamento di diversi anni in grandi ceramiche interrate, costituisce una sorta di illuminazione per il produttore italiano. Oggi, la proprietà possiede 45 qvevri, da 15 a 27 hl, interrate in un'ala della cantina.

Riferendosi spesso a Plinio e Columella, Josko Gravner si limita all'uso di zolfo e rame per i trattamenti delle sue vigne, e a qualche grammo di SO2 per le vinificazioni, con lo scopo di vinificare con un'uva dalle qualità estremamente superiori. Nella cantina interviene poco, lasciando lavorare i lieviti indigeni e praticando solo qualche pigiatura all'inizio della fermentazione. La proprietà propone due vini bianchi elaborati in qvervi. Il Breg Anfora, I.G.T. Venezia Giulia, è un accostamento di Sauvignon bianco, di Chardonnay, di Pinot Grigio e di Riesling italico; la Ribolla Anfora, I.G.T. Venezia Giulia, è ottenuta al 100% dalla Ribolla Gialla, varietà indigena bianca molto diffusa prima della crisi della fillossera nella regione del Friuli, in particolare vicino alla frontiera Slovena. L'imbottigliamento, come alcune delle operazioni precedenti, segue un calendario di cicli lunari messo a punto da Maria Thun, ben conosciuto dai vignaioli e in agricoltura biodinamica.

Il castello di Lispida18

L'Azienda Agricola Castello di Lispida, a Monselice vicino a Padova, è un antico monastero che produce vino dal XVIII° secolo. Alessandro Sgaravatti, uno dei pionieri del genere “anfora”, possiede diverse anfore georgiane, la cui capacità varia dai 4 ai 70 hl, interrate nella propria cantina. L'Amphora Rosso è il risultato dell'accostamento di diverse varietà; realizzato per la prima volta nel 2003, è elaborato da grappoli interi messi a macerare e a fermentare nelle qvevri per due mesi, per poi passare 12 mesi nelle anfore e 18 mesi in botti di rovere, senza solfati aggiunti e senza filtrazioni.

Fotografia n°8: interramento di una qvevri nel Castello di Lispida, Azienda Agricola Castello di Lispida

Fotografia n°8: interramento di una qvevri nel Castello di Lispida, Azienda Agricola Castello di Lispida

L'Amphora Bianco, I.G.T. Veneto, realizzato dalla varietà Tocai Friuliano, fermenta in anfore aperte per 10 giorni, subisce poi una macerazione in qvevri chiuse per 6 mesi prima di ritornare nella terracotta per 8 mesi. Sempre senza solfati aggiunti e senza filtrazioni.

I pionieri delle tinajas spagnole

L'Azienda Agricola Cos19

Fondata negli anni Ottanta da Giambattista Cilia, Giusto Occhipinti e Cirino Strano (l'iniziale di ogni cognome forma l'acronimo COS) l'azienda predilige la coltura biodinamica e si estende su più di trenta ettari (di cui un vigneto di 12 ha) sui comuni di Acate e di Vittoria, in provincia di Ragusa, nel sud-est della Sicilia.

Nel 2000, dopo diversi tentativi, la proprietà si è dedicata alla produzione di vino in contenitori di ceramica, pioniera nel territorio siciliano, se non addirittura in Italia. L'azienda possiede oggi le più grandi cantine con anfore vinarie d'Italia con 150 tinajas di Villarobledo (atelier di Antonio Padilla) da 4 hl, interrate per limitare l'ossidazione. Il periodo di macerazione è piuttosto lungo: circa 3 mesi per i rossi e dai 6 ai 7 mesi per i bianchi. Il Phitos Bianco, I.G.T. Sicilia, è un vino ricavato per il 100% da Grecanico, varietà tipica della Sicilia. Il Phitos Rosso, I.G.T. Sicilia, è invece frutto dell'accostamento di Nero d'Avola (60%) e di Frappato di Vittorio (40%), varietà endemica della Sicilia vinificata separatamente e aggiunta poi in seguito. Il Frappato, (100% Frappato) e il Nero di Lupo (100% Nero d'Avola), entrambi I.G.T. Sicilia, sono anch'essi elaborati parzialmente nelle tinajas.

Fotografia n°9: vista della cantina ad anfore dell'Azienda Agricola Cos.

Fotografia n°9: vista della cantina ad anfore dell'Azienda Agricola Cos.

L'Azienda Agricola Elisabetta Foradori20

Figura cardine del rinnovamento dei vigneti del Trentino Alto Adige, Elisabetta Foradori pratica una viticoltura biodinamica su una superficie di circa 30 ha. A capo della proprietà dagli anni Ottanta, valorizza varietà endemiche come il Teroldego per i rossi e il Nosiola per i bianchi, utilizzando dal 2009 un centinaio di tinajas di 4 hl provenienti dall'atelier di Antonio Padilla a Villarobledo.

L'Azienda propone due selezioni parcellari di Teroldego, varietà appartenente alla Syrah e al Pinot Nero21 vinificati in anfore dal 2009. Lo Sgarzon, 100% Teroldego, I.G.T. Vigneti delle Dolomiti, proviene da uve di un antico vigneto di un solo ettaro di superficie. Dopo una macerazione di otto mesi in tinajas, il vino passa tre mesi in botti di quercia. Lo stesso tipo di vinificazione interessa il Morei, 100% Teroldego, I.G.T. Vigneti delle Dolomiti, seconda selezione parcellare della proprietà, vinificata in tinajas.

La varietà Nosiola, piuttosto rara e probabile discendente della Rèze22, coltivata a 400 metri d'altitudine su una parcella di soli 2 ha, dà vita al Fontanasanta, 100% Nosiola, I.G.T. Vigneti delle Dolomiti. Questo vino fermenta per 8 mesi nelle anfore spagnole prima di essere spostato in botti, principalmente di legno di acacia.

Fotografia n°10: nell'Azienda Agricola Foradori la continuità è assicurata con Emilio Foradori, il figlio di Elisabetta Foradori

Fotografia n°10: nell'Azienda Agricola Foradori la continuità è assicurata con Emilio Foradori, il figlio di Elisabetta Foradori

L'Azienda Agricola Frank Cornelissen23

Frank Cornelissen possiede, dagli anni Duemila, una proprietà di 12 ha, di cui 8,5 a vigneti, situata a Solicchiata, sulle pendici settentrionali dell'Etna. I suoi vini, Magma e Munjebel, sono prodotti esclusivamente a partire dal Nerello Mascalese, varietà autoctona tipica della zona dell'Etna, nella provincia di Catania. Il vigneto è seguito in maniera praticamente naturale, con scarse manutenzioni del suolo e nessun prodotto di protezione. Una filosofia analoga è praticata per la cantina: i vini, conservati nelle tinajas di Villarobledo, sono realizzati senza lieviti e senza solfiti. Queste anfore, dalla capacità di 1,5/4 hl, garantiscono igiene e tenuta e sono interrate in un substrato di pietre vulcaniche ridotte in polvere. Per le vinificazioni, gli acini interi e i succhi fermentano e macerano insieme per un periodo che va dai 4 ai 7 mesi, seguito da 18 mesi in anfore e dal conclusivo imbottigliamento.

L'Azienda Agricola Serragghia24

Sull'Isola di Pantelleria, piccolo paradiso tra Sicilia e Tunisia, Gabrio Bini, architetto di origine milanese, produce con uno spirito biodinamico vini atipici, a base di Moscato d'Alessandria, varietà locale conosciuta come Zibibbo. Con una piccola proprietà di 4 ha, egli vinifica in tinajas spagnole di capacità tra i 2,5 e i 7 hl, completamente interrate all'esterno degli edifici della proprietà. L'Azienda Agricola Serragghia è la più meridionale tra le proprietà viticole italiane ad utilizzare le anfore vinarie in terracotta.

Il rinnovamento della produzione di ceramica vinaria in Italia

I Capasoni: ceramiche vinarie tradizionali per i gusti odierni

La Vinicola Savese25

La famiglia Pichierri della Vinicola Savese, a Sava, provincia di Taranto (Puglia), è il portabandiera della varietà Primitivo di Sava, chiamata oggi Primitivo di Manduria. Una parte dei vini viene affinata in anfore tradizionali pugliesi: i capasoni, recipienti in terracotta verniciata, spesso muniti di due anse, sono fabbricati a Grottaglie (città nota per le sue industrie di ceramica). I modelli più grandi di capasoni possono raggiungere un'altezza compresa tra 1,5 e 2 metri, per una capacità di circa 2-3 hl, come quelli utilizzati nella Vinicola Savese. Tradizionalmente, queste anfore servivano come recipienti di stoccaggio al posto delle botti e la continuazione nell'utilizzo di queste ceramiche a scala locale ha permesso l'organizzazione di un evento centrato proprio sulla produzione del vino in anfore, che si è tenuto il 29 gennaio 2014 a Bari: “I vini nelle anfore in Puglia”.

Intorno alla Vinicola Savese e alle sue speciali produzioni di Ajanaoa 2009 Capasonato (un accostamento di Primitivo 1984 e 1985), si nota la presenza di viticoltori che producono vini con base di Primitivo affinati in anfore o in capasoni. È il caso di Michele Biancardi di Cerignola, in provincia di Foggia, con il suo Milleceppi, affinato 8 mesi in anfora; o di Cristiano Guttarolo e i suoi Amphora 2011 e 2012, mantenuti per un anno in anfore impermeabilizzate con cera d'ape; o ancora Masseria Jorche, produttore di Toricella, nella provincia di Taranto, con il Primitivo di Manduria Riserva 2010, affinato in parte in capasoni.

Artenova: un centro moderno di produzione di ceramica vinaria a Impruneta26

Nota fin dal Rinascimento per la qualità delle sua argille, la città di Impruneta, vicino a Firenze, in Toscana, ospita un atelier di produzione di terracotta diretta da Leonardo Parisi: Artenova. L'atelier si è specializzato da qualche anno nella creazione di grandi anfore vinarie, fabbricate in modo tradizionale, lasciate ad asciugare per più settimane e cotte in grandi forni a una temperatura che si aggira intorno ai 1000°C.

Fotografia n°11: nell'atelier Artenova la fabbricazione di anfore è realizzata secondo la tradizionale tecnica a cercine.

Fotografia n°11: nell'atelier Artenova la fabbricazione di anfore è realizzata secondo la tradizionale tecnica a cercine.

Fotografia n°12: una volta modellati, i pezzi necessitano di un'asciugatura di diverse settimane.

Fotografia n°12: una volta modellati, i pezzi necessitano di un'asciugatura di diverse settimane.

Fotografia n°13: vista dei forni di cottura delle anfore nell'atelier Artenova

Fotografia n°13: vista dei forni di cottura delle anfore nell'atelier Artenova

Queste anfore sono vendute ai viticoltori sia “grezze”, immediatamente dopo la cottura, che impermeabilizzate con un rivestimento interno a base di cera d'api o di resine epossidiche. Con capacità di 2, 3, 5 o 8 hl, possono essere equipaggiate anche di un coperchio in acciaio inossidabile e di un rubinetto di degustazione o per il travaso. L'atelier produce anche contenitori ovali o cilindrici di 6 hl, in terracotta, anch'essi con coperchi mobili in acciaio inox. Un accordo con l'enologo italiano Francesco Bartoletti ha permesso di validare i sistemi di impermeabilizzazione evitando tutti i processi di ossidazione nefasti per i vini; ulteriori test hanno anche misurato le proprietà della terracotta come isolante termico, e come regolatore naturale delle temperature del vino in relazione a quelle dell'ambiente.

Artenova distribuisce la sua produzione essenzialmente in Italia: la clientela proviene soprattutto dalla stessa Toscana, ma anche da Piemonte, Liguria, Abruzzo e Sardegna. Per quanto riguarda l'estero, le esportazioni sono dirette verso Australia, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Ungheria, Austria e Svizzera.

Fotografia n°14: anfore vinarie dell'atelier Artenova all'interno della cantina della proprietà Grignanello, a Castellina in Chianti, provincia di Siena.

Fotografia n°14: anfore vinarie dell'atelier Artenova all'interno della cantina della proprietà Grignanello, a Castellina in Chianti, provincia di Siena.

Oggi, più di una sessantina di produttori di vino nel mondo utilizzano anfore o contenitori prodotti dall'atelier. Artenova ha inoltre creato, appositamente su richiesta di Francesco Iacono, enologo della Tenuta di Rubbia al Colle, contenitori in terracotta in forma di botte e con una capacità di 2-3 hl. Queste “botti in argilla” permettono l'affinamento per 18 mesi del Barricoccio, D.O.C.G. Val di Cornia Suvereto Sangiovese, vino 100% Sangiovese, varietà regina della Toscana, probabilmente originaria del sud Italia, tra Calabria e Sicilia.27

Reduce da questo successo, Artenova ha organizzato, il 22 giugno 2013, una prima giornata di incontro in loco, intitolata “La Terracotta e il vino”, in presenza dell'enologo Francesco Bertoletti e di una dozzina di viticoltori. Questa giornata ha offerto l'opportunità di degustare le produzioni già in vendita e altri vini in corso di elaborazione, come l'annata 2010 di Sangiovese, I.G.T. Toscana del Castello dei Rampolla a Ponzano (Chianti), la Syrah 2011, I.G.T. Toscana del Castello del Trebbio o, ancora, “Vis” 2010, Barbera d'Asti dell'Azienda vitivinicola Creato del Piemonte. Quest'ultimo prodotto, frutto del lavoro dell'enologo Luigi Armanino, è stato oggetto di comparazioni tra un affinamento in botti e uno in anfore di terra cotta. È possibile citare anche altre produzioni realizzate grazie alle anfore vinarie dell'atelier Artenova, come la Syrah 2010 della Tenuta Casadei di Pontassieve, o Noesis I.G.T. Toscana, della Tenuta Belvedere a Rignano sull'Arno. Per quest'ultimo, va sottolineato che il risultato dell'unione del Trebbiano, della Malvasia e del San Colombano viene vinificato ed affinato per 8 mesi in anfore da 5 hl.

Il fenomeno dell’utilizzo della ceramica, oltrepassa quello del solo ambito dei viticoltori; la birreria Birra del Borgo commercializza infatti una birra elaborata in anfore secondo i canoni etruschi (Etrusca archeobirra), ricreata sulla base di documenti archeologici attestanti l'uso di melagrana, miele o resina.

Il vino delle anfore: una cuvée a carattere culturale e patrimoniale

Il Gruppo Cevico, uno dei più grandi produttori di vino in Italia, proprietario della Tenuta Massellina (22 ha) situata a Castelbolognese, a ovest di Ravenna (Emilia Romagna), si è associato al Museo delle Ceramiche di Faenza per produrre una cuvée “culturale” con lo scopo di valorizzare sia la produzione viticola locale che l'arte della ceramica maiolica, che ha fatto la fama della città nel XV° e XVI° secolo. D’altronde, è proprio la rappresentazione di un medaglione di ceramica che orna la bottiglia di Vino delle Anfore, affinato in anfore di terracotta prodotte nell'atelier del maestro ceramista Pier Paolo Garavni di Faenza. Vinificazione, fermentazione alcoolica e malolattica, nonché una buona parte dell'affinamento si svolgono per diversi mesi in anfore, dando vita a un prodotto unico, nato dalle antiche parcelle di Trebbiano Romagnolo (varietà conosciuta in Francia sotto il nome di Ugni Blanc).

La Cantina Crosato28

Situata a est di Udine, in Friuli Venezia Giulia, la Cantina Crosato rappresenta un altro esempio di singolare iniziativa nel campo della vinificazione e conservazione in ceramica. Questa proprietà presenta infatti nella sua cantina di affinamento dozzine di anfore munite di due anse e di circa 50 litri di capacità. Queste terrecotte sono utilizzate per l'affinamento del Bianco d'argilla della proprietà, a base di varietà Friulano (14 mesi in anfora) e del Rosso d'Argilla, a base di Refosco e di Merlot (24 mesi in anfora).

Conclusioni

L'uso di anfore in terracotta nelle cantine dei viticoltori italiani può apparire come un fenomeno del tutto marginale, soprattutto se si compara il numero effettivo degli utilizzatori a quello dei produttori totali di vino nella penisola. Tuttavia, questa tendenza non si limita solo all'Italia, ma sembra avere eco anche in Francia e Svizzera.

In Georgia, e in misura minore anche in Spagna e Portogallo, le tradizioni vinicole ancestrali legate all'utilizzo di qvevri o tinajas sono alla base di un rinnovamento o, meglio, di una valorizzazione senza precedenti29 che influenza i viticoltori italiani. Questi ultimi trovano nell'uso delle ceramiche vinarie un formidabile terreno di sperimentazione e anche uno straordinario supporto nella loro sfida personale per produrre vini unici, non standardizzati. Nel contempo, essi si impegnano anche a raggiungere un livello di produzione il più naturale possibile. In ogni caso, in futuro sarà fondamentale osservare con attenzione l'evoluzione di questa “infatuazione” per valutarne la persistenza nelle pratiche enologiche italiane, e altrove, o per constatarne gli eventuali effetti effimeri.

Ringraziamenti

Vorrei ringraziare vivamente tutti i viticoltori italiani, senza cui quest’articolo non sarebbe stato possibile, per le loro testimonianze dirette o indirette. Ringrazio anche Katie Lodge, per la sua maestria nella lingua di Shakespeare, e infine ringrazio i membri del servizio culturale del museo gallo-romano di Saint Romain en Gal, Vienne, per il loro sostegno e la loro disponibilità.

Notes

1 MCGOVERN Patric E., “Le premier vin de l'Humanité”, in Jean-Pierre BRUN – Matthieu POUX – André TCHERNIA, Le vin, nectar des Dieux, génie des Hommes, Infolio, 2004, pp 34-37 Retour au texte

2 BRUN Jean-Pierre, Archéologie du vin et de l'huile de la Préhistoire à l'époque hellénistique, Parigi, Edizioni Errance, 2004, pp 37-39 Retour au texte

3 BARNARD Hans, “Chemical evidence for wine production around 4000 BCE in the Late Chalcolithic Near Eastern highlands”, Journal of Archaeological Science, XXX, 2010 Retour au texte

4 BRUN Jean-Pierre, Archéologie du vin et de l'huile de la Préhistoire à l'époque hellénistique, Parigi, Editione Errance, 2004, p 39 Retour au texte

5 BRUN Jean-Pierre, Archéologie du vin et de l'huile de la Préhistoire à l'époque hellénistique, Parigi, Editione Errance, 2004, pp 161-164 Retour au texte

6 TCHERNIA André, OLME Fabienne, “Le vin de l'Italie romaine, dynamiques et zones de production”, in Jean-Pierre BRUN – Matthieu POUX – André TCHERNIA, Le vin, nectar des Dieux, génes des Hommes, Infolio, 2004, pp 104-121 Retour au texte

7 COLUMELLE, De l'agriculture, XII, 18, J. André (éd.), Parigi, Les Belles Lettres, 1988 Retour au texte

8 La lista degli input enologici naturali citati dall'agronomo dell'antichità conta più di duecento piante e frutti, resine, miele, polvere di marmo, gesso.. Retour au texte

9 “Il vino migliore è quello il cui mosto non ha ricevuto alcun elemento aggiunto, ed è ancora meglio se i contenitori non sono stati ricoperti di pece”, PLINE l'Ancien, Histoire naturelle, XXIII, 45-46, J. André (Ed.), Parigi, Les Belles Lettres, 1971 Retour au texte

10 CATON, De agricultura, 11, Goujard R. (Ed.), Parigi, Les Belles Lettres, 1975 Retour au texte

11 BRUN Jean-Pierre, Le vin et l'huile dans la Méditerranée antique, viticulture, oléiculture et procédés de fabrication, Parigi, Editione Errance, 2003, p 83 Retour au texte

12 Per esempio il vino di Bruttium, cf. PANELLA Clementina, TCHERNIA André. “Produits agricoles transportés en amphores: l'huile et sortout le vin”, L'Italie d'Auguste à Dioclétien. Atti del colloquio internazionale di Roma (25-28 marzo 1992), Pubblicazioni della Scuola Francese di Roma, 198, 1994, pp. 145-165 Retour au texte

13 CITERNE Pierre, “Le retour des vins élévés en amphores”, Revue des vins de France, n° 556, novembre 2011, pp. 30-36 e CITERNE Pierre, “Decouvrez le goût du vin en amphores”, Revues des vins de France, n° 556, novembre 2011, pp. 78-73. Retour au texte

14 CITERNE Pierre, “Le retour des vins élévés en amphores”, Revue des vins de France, n° 556, novembre 2011, pp. 30-36 e CITERNE Pierre, “Decouvrez le goût du vin en amphores”, Revues des vins de France, n° 556, novembre 2011, pp. 78-73. Retour au texte

15 Dal greco amphoreùs: “che si prende dai due lati” Retour au texte

16 In Grecia e soprattutto a Creta è rimasta in vita una produzione fino al XX° secolo. Retour au texte

17 www.granvier.it Retour au texte

18 www.lispidia.com Retour au texte

19 www.cosvittoria.com Retour au texte

20 www.elisabettaforadori.com Retour au texte

21 VOUILLAMOZ José e GRANDO Stella, “Pinot is related to Syrah”, Heredity, n° 97, 2, 2006, pp. 102-110 Retour au texte

22 VOUILLAMOZ José, SCHNEIDER Ana, CRANDO M., “Microsatellite analysis of Alpine grape cultivars (Vitis Vinifera L.): alleged descendants of Pliny the Elder's Raetica are genetically related”, Genetic Ressources and Crop Evolution, Vol. 54, n° 5, Agosto 2007, pp. 1095-1104 Retour au texte

23 www.frankcornelissen.it Retour au texte

24 www.serragghia.it Retour au texte

25 www.vinipichierri.com Retour au texte

26 www.terracotta-artenova.com Retour au texte

27 DI VECCHI STARAZ Manuel et alii, “Genetic structuring and Parentage Analysis for Evolutionary Studies in Grapevine: Kin Group and Origin of the Cultivar Sangioves Revealed”, Journal of the American Society for Horticultural Science, vol. 132 n°4, Luglio 2007, 514-524 Retour au texte

28 www.vinicrosato.it Retour au texte

29 Nel dicembre 2013 l'UNESCO ha classificato la tradizionale vinificazione georgiana in qvevri a Patrimonio culturale immateriale dell'Umanità Retour au texte

Illustrations

  • Fotografia n°1: coccio di un'anfora proveniente dal sito di Hajji Firuz Tepe, con residui di tartaro di potassio, Iran, 5400-5000 a.C., Exposition Le vin , nectar des Dieux, génie des Hommes, museo Henry Prades, Lattes.

  • Fotografia n°2: anfore egiziane, 3100-2700 a.C., Abydos, tombe dei re delle due prime dinastie del periodo Tinita, Museo del Louvre, Parigi.

  • Fotografia n°3: anfora etrusca, 500 a.C., relitto di Grand Ribaud F., Var, deposito DRASSM, Museo di storia naturale di Marsiglia.

  • Fotografia n°4: ricostruzione del carico di anfore italiche Dressel 1, Esposizione Vin, Nectar des Dieux, génie des Hommes, Museo Henry Prades, Lattes.

  • Fotografia n°5: cantina con dolia della villa Regina a Boscoreale, 79 d.C.

  • Fotografia n°6: pressa della villa dei Misteri a Pompei, 79 d.C.

  • Fotografia n°7: cantina con tinajas della bottega di César Velasco, Villarobledo, Comunità autonoma di Castilla-La Mancha.

  • Fotografia n°8: interramento di una qvevri nel Castello di Lispida, Azienda Agricola Castello di Lispida

  • Fotografia n°9: vista della cantina ad anfore dell'Azienda Agricola Cos.

  • Fotografia n°10: nell'Azienda Agricola Foradori la continuità è assicurata con Emilio Foradori, il figlio di Elisabetta Foradori

  • Fotografia n°11: nell'atelier Artenova la fabbricazione di anfore è realizzata secondo la tradizionale tecnica a cercine.

  • Fotografia n°12: una volta modellati, i pezzi necessitano di un'asciugatura di diverse settimane.

  • Fotografia n°13: vista dei forni di cottura delle anfore nell'atelier Artenova

  • Fotografia n°14: anfore vinarie dell'atelier Artenova all'interno della cantina della proprietà Grignanello, a Castellina in Chianti, provincia di Siena.

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Christophe Caillaud, « Il fenomeno del vino in anfora nell'Italia di oggi », Territoires du vin [En ligne], 6 | 2014, publié le 01 mars 2014 et consulté le 22 novembre 2024. Droits d'auteur : Licence CC BY 4.0. URL : http://preo.u-bourgogne.fr/territoiresduvin/index.php?id=822

Auteur

Christophe Caillaud

Assistente di Conservazione del Patrimonio, Museo gallo-romano di Saint-Romain-en-Gal - Vienna

christophe.caillaud@rhone.fr

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