Nel panorama della letteratura sarda contemporanea, pur tenendo conto delle diversità stilistiche, poetiche e di genere dei diversi autori, si possono individuare alcune costanti : confrontando, in effetti, le ultime opere di Marcello Fois, Salvatore Niffoi, Giorgio Todde, ci si accorge dell’attenzione particolare portata al periodo che va dall’unità d’Italia agli inizi del ‘900, un’epoca determinante per quel che essa ha significato nella formazione della recente cultura sarda. Antonietta Dettori, specialista della lingua e della letteratura sarda, descrive così questo periodo riferendosi all’opera di Marcello Fois :
Una parte significativa della sua produzione narrativa è ambientata nella sua città d’origine, Nuoro, presentata e descritta attraverso vicende e personaggi che possono essere inseriti nella contemporaneità, o calati in un momento cruciale della storia della città e della Barbagia : gli ultimi anni dell’Ottocento, che videro l’offensiva dello Stato unitario contro il banditismo. Si trattò di un’offensiva che investì anche le comunità pastorali, il cui assetto economico e sociale tradizionale era entrato in collisione con le leggi e l’organizzazione introdotte dal governo nazionale (Dettori 2006 : 337).
L’offensiva si trasforma in una sorta di guerra civile, che vede le forze dell’ordine utilizzare ogni mezzo possibile per soffocare il fenomeno del banditismo : le famiglie dei briganti sono arrestate e imprigionate, nell’attesa che i latitanti si rendano alla polizia e i metodi di arresto e prigionia finiscono per assomigliare di più a un « regolamento di conti » che a un’azione di giustizia.
A questi atti politici che vedono come protagonisti il neonato Stato italiano e la Sardegna, si aggiungono le opinioni razziste e settarie della popolazione italiana nei confronti dei sardi, alimentate dalle ‘teorie scientifiche’ di Alfredo Niceforo (1876-1960), il criminologo che con la sua opera fondata sulla fisiognomica La delinquenza in Sardegna del 1897, conforta l’opinione pubblica sulla diversità degli isolani, sulla loro propensione al crimine, sul loro attaccamento a riti arcaici e selvaggi. Nei romanzi considerati di G. Todde e M. Fois le teorie dell’innatismo di Niceforo vengono più volte menzionate, a riprova che, se oggi esse possono far sorridere, all’epoca segnarono profondamente gli animi.
Ed è in questa atmosfera di rivendicazioni, di abusi di potere, di complessi di inferiorità che si svolgono i romanzi degli autori citati : « il ciclo di Bustianu» di Marcello Fois – Sempre caro, Sangue dal cielo, L’altro mondo – a cui si aggiunge un romanzo isolato – Memoria del vuoto – che racconta della vita del brigante Stochino (inizi del XX secolo) ; La vedova scalza e Cristolu di Salvatore Niffoi ; Lo stato delle anime e il ciclo dedicato all’imbalsamatore detective Efisio Marini di Giorgio Todde.
Le affinità tra i romanzi non si fermano qui : S. Niffoi e M. Fois hanno in comune lo sfondo geografico, ossia la Barbagia e la città di Nuoro in particolare (e G. Todde, nel caso del romanzo citato) ; per M. Fois e G. Todde il protagonista detective è un personaggio realmente esistito e un colto rappresentante della Sardegna dell’800 ; e infine – ciò che più ci interessa – l’uso sistematico in M. Fois e S. Niffoi della limba1, nel suo dialetto della Barbagia. Questi elementi mettono in risalto la volontà di sollevare una ‘questione identitaria’ che si fa più forte proprio attraverso il plurilinguismo.
Nonostante la tentazione di fare uno studio comparato fra gli autori, fosse solamente per capire se la diversa poetica nasconda una stessa spinta ideologica, ci limiteremo qui all’analisi dell’opera di Marcello Fois, che forse, più degli altri svela le sue ragioni politiche e ideologiche. Partendo dalle dichiarazioni identitarie che si possono leggere nelle sue opere, vedremo come l’uso dei narratori e della limba sarda siano un mezzo supplementare per mettere in evidenza una forte e decisa presa di posizione.
1. La situazione iniziale : ambientazione e tono politico
I personaggi che sono al centro dei romanzi di M. Fois sono fortemente impegnati, su fronti completamente opposti, nella lotta che vede coinvolti Stato e regione. Da un lato, in Memoria del Vuoto, l’eroe è il brigante sanguinario Samuele Stocchino, corrispettivo del vero Samuele Stochino (con una /c/) e, secondo le parole dell’autore (2006 : 213) « personaggio doppiamente leggendario raccontato in queste pagine » ; dall’altro, nel ciclo di romanzi a lui dedicato, Bustianu, alter-ego letterario del poeta-avvocato Sebastiano Satta, rappresentante della giustizia, sardo, ma con formazione « continentale », pronto a difendere i deboli dall’abuso di potere :
Che tutto si poteva dire di lui, ma non che non prendesse sul serio il suo lavoro. In Corte d’Assise fatica non ne conosceva e chi si affidava a lui sapeva che tutto quello che c’era da fare l’avrebbe fatto. E mica per i soldi ! Questo no. [...] Insomma erano più le volte che difendeva per niente, ma poi il suo tornaconto ce l’aveva lo stesso che era rispettato da tutti. (Fois 1998 : 1-2)
Cercando notizie su Sebastiano Satta, si trovano, oltre all’immagine ormai leggendaria dei briganti che scendono dalle montagne per recarsi al suo funerale, dichiarazioni generose e riconoscenti del popolo barbaricino :
Egli amò intensamente la Barbagia, terra natale, rude e bellissima al tempo stesso, apprezzandone ogni suo aspetto, anche quelli più foschi : non nascose mai di provare simpatia e rispetto per la folta schiera di banditi che, per sfuggire alla cattura, si davano alla macchia, vivendo una vita dura, misteriosa e affascinante ; dopo tutto, secondo Satta, i banditi altro non erano che degli uomini divenuti simili ad animali randagi, che manifestavano con le loro gesta fuorilegge una barbarica ribellione ad un ordine sociale ingiusto e inaccettabile. (sito Regione Sardegna 2007)
Nei romanzi di Fois, l’avvocato si trova alle prese con tre casi legati alla situazione della Sardegna del XIX secolo e in particolar modo al banditismo : il primo, quello che apre la sua esistenza letteraria, lo trova a difendere un povero pastore accusato di abigeato2 e di latitanza. Il ragazzo, per il quale si batte contro l’opinione di tutti, diventerà – secondo la grande tradizione del romanzo giallo – il suo secondo e lo aiuterà nelle indagini a venire. In questo primo atto delle sue imprese si delinea già la sua presa di posizione :
Perché lui non era di quelli che facevano troppe cerimonie, lui lo diceva chiaramente che fra tutti questi balenti c’erano anche delinquenti e basta, gentaglia che aveva trovato il modo più facile per far valere le proprie ragioni. La verità, insomma : molti di questi erano solo dei prepotenti, gente che non sapeva nemmeno che cosa voleva dire vivere in mezzo agli altri. Bestie erano ! Questo bisogna dire. Gente che se c’era qualcosa che non girava come pareva a loro si spiegavano con la doppietta o con la leppa. Così era ! C’era poco da farsi belli, niente di cui vantarsi, insomma. Ma non era per tutti la stessa cosa. (Fois 1998 : 37)
Un’arringa al tribunale di Nuoro, per la difesa di parenti di latitanti accusati di favoreggiamento, diventa il pretesto per dare sfogo alla sua rabbia e spiegare il suo rispetto per la legge :
Ora lo Stato, con le leggi speciali, ci dice che è suo dovere, in nome della giustizia, essere sullo stesso piano, ma io dico peggiore, di colui che l’offende. Una bestia sanguinaria commette razzie, sequestri, omicidi e noi che facciamo ? Gli arrestiamo le madri, le mogli, i figli piccoli per costringerlo a venire allo scoperto. Diventiamo suoi compagni, membri della sua banda, parliamo lo stesso linguaggio... (Fois 2002 : 67)
Lo sguardo di compassione verso la sua Terra, la non generalizzazione della situazione sarda, la necessità di considerare le tradizioni e la posizione della Sardegna nei confronti della nuova Nazione, sono quei tratti del personaggio che lo portano a cercare la verità e la giustizia, laddove la Giustizia ufficiale non va tanto per il sottile.
Nel terzo romanzo, il banditismo è ancora al centro dell’indagine, che però ritrae una Sardegna vittima di macchinazioni militari e politiche, pronta a essere sacrificata per sperimentare delle armi chimiche. Quell’Altro mondo che dà il titolo al romanzo assume così un doppio significato : è il nome dell’operazione dei servizi segreti toccati dalla sconfitta di Adua ma è anche il nome che naturalmente viene attribuito alle condizioni di quest’isola : « Io vedo solo che lei parla di noi come se veramente fossimo all’altro mondo. Ma siamo qui ! » (Fois 2002 : 172) grida l’avvocato di fronte alle giustificazioni dell’onorevole Pais Serra sulle sperimentazioni chimiche.
I discorsi « politici » sono numerosi in tutto il ciclo di Bustianu, come anche le citazioni che riguardano la natura dei Sardi, il loro temperamento, il destino della loro Storia. Basterà ascoltare semplicemente il pensiero di M. Fois rispetto al banditismo sardo, quando, esprimendo l’opinione del suo personaggio, fa anche un paragone con la situazione attuale della sua terra :
Come si spiega il fenomeno del brigantaggio sardo?
Con una concomitanza di fatti, di tensioni e di responsabilità reciproche. L’Italia ha avuto nei confronti della Sardegna un rapporto di sfruttamento a tratti insostenibile, che è durato per molti secoli. Il banditismo si iscrive in questa situazione. Sono contrario a qualunque apologia di chi si fa giustizia da solo, ma bisogna tenere a mente che, alla domanda di partecipazione nel processo unitario, ai sardi si è sempre risposto con le armi. E comunque vorrei ricordare che ad un numero relativamente esiguo di banditi, certo più letterari e più interessanti per la stampa, rispondono le centinaia di migliaia di sardi vittime di tutte le guerre, anche le più recenti. Com’è che di questi non si parla mai ? (sito StradaNove 2002)
La balentia, il banditismo, nei romanzi appare subito in tutta la sua contraddizione : da un lato la critica spietata che il potere costituito e la Storia hanno tramandato, dall’altro, quella mitica aura di mistero che i fuorilegge portano sempre con sé, e che la repressione ha contribuito a creare. La voce narrante dell’autore nel primo romanzo riassume così entrambi i punti di vista :
Zenobi Sanna era entrato fra quelli che fanno segnare le vecchiette.
Che stagione quella ! Poi vanno a dire Atene Sarda3. Far West dovevano dire ! Non si faceva in tempo a tirar fuori la testa che ti arrivava un colpo di balla, così per caso.
Perché avevi visto qualcosa senza saperlo. Perché ti era capitato di sentire qualcosa che non dovevi sentire. O solo perché lavoravi per qualcuno che era nella lista nera (Fois 1998 : 25).
Nel romanzo Memoria del vuoto, il protagonista è proprio uno di quei balenti che, per aver voluto far giustizia da soli, si danno alla latitanza ed entrano in una sorta di spirale della violenza e di regolamento di conti che porterà con sé solo morte e solitudine. Ma è anche uno di quei sardi impegnati sul fronte per conto della nazione italiana, eroe di guerra e vittima di soprusi proprio nella sua terra natale. E anche in questo romanzo la figura del bandito entra nella leggenda :
Immaginatevi la scena : quell’uomo ha perso tutto. Fa il bersaglio, ma quanto più si espone tanto più sembra imprendibile. Dentro all’aura d’immortalità vive come dentro a una corazza. Nel periodo in cui era sparito, custodito e aiutato da Rubanu, in paese c’era stata l’euforia di un incubo che finisce. (Fois 2006 : 163)
I soprusi sopportati da Samuele e dalla famiglia (sottoposta allo stesso trattamento delle altre famiglie dei balenti, ma anche perseguitata e portata al fallimento dai signorotti del paese) stempera il giudizio perentorio che si potrebbe avere su questo giovane omicida. Il ritratto che M. Fois ne fa, senza difendere il punto di vista dei banditi, lo pone comunque in buona luce, scavando nelle ragioni profonde della sua scelta, ma giustificando la sua vita anche attraverso il destino che gli fu affibbiato fin dall’infanzia, dalla magia e dalle credenze arcaiche dei contadini.
Quel bambino ha il cuore a forma di testa di lupo, dice all’improvviso Annica, ha il cuore spigoloso come quello degli assassini. Antioca le punta il dito contro, ma lo sa che sta combattendo una battaglia già persa. Dio sparge i cuori a forma di testa di lupo, di scimmia, di pesce, dentro ai petti di certi umani, perché sono cuori senza scelta, col destino scritto. (Fois 2006 : 38)
2. La lingua e i narratori : uno stile che svela il pensiero
Il personaggio di Bustianu è cantato dai tre diversi narratori dei romanzi a lui dedicati. La memoria della leggenda di Samuele Stocchino è affidata a narratori, cantastorie, prefiche e cori tragici. M. Fois dimostra, ormai da anni, di curare in modo particolare la messa in scena narratologica dei suoi romanzi. In effetti è attraverso una serie di più narratori e soprattutto grazie alla sovrapposizione di essi che i suoi personaggi passano dalla cronaca alla finzione letteraria, dalla Storia alla leggenda.
A questo « gioco narratologico », M. Fois sovrappone l’uso della limba in modo tale che entrambi gli elementi stilistici risultano inscindibili : la limba è usata da determinati narratori e non da altri, in determinati momenti e non in altri, per raccontare in un certo modo certe azioni che sfociano così nella storia culturale sarda, e si uniscono alle poesie e ai canti ancestrali.
2.1. La limba come incastonatura
Il processo di inserimento della limba sarda, della lingua « altra » rispetto all’italiano che costituisce comunque l’idioma principale, si fa sia a livello lessicale che a livello sintattico. Lo stesso Camilleri, nella prefazione al romanzo Sempre caro parla, di « una sorta di incastonatura atta a ricevere la parola dialettale per renderla appunto di ‘specificazione più precisa’ » (Camilleri in Fois 1998 : X).
Per quanto riguarda il lessico, la parola sarda può trovarsi isolata nel co-testo italiano o comporre interi dialoghi, che il contesto narrativo aiuterà a chiarire per coloro che non parlano il sardo. Alcune parole sono interamente legate alla cultura dell’isola e quindi effettivamente intraducibili, tanto più che sono passate nel lessico nazionale - mammuthone, pane carasau -, mentre altre sono legate culturalmente ad una certa atmosfera geografica e sociale. Molti termini designano in larga misura elementi del costume tradizionale sardo – franda, mucadore, berritta, leppa – altri sono legati alla situazione storica e sociale presentata nei romanzi e riguardano quindi una certa società rurale e certe figure al margine : pensiamo a termini quali balentia (o balente) o a espressioni come Tzia, sos meres, bestiamene, tzilleri, anzone. Per gli aggettivi qualificativi che ricorrono spesso, attributivi estetici o termini di valore morale, anche in questo caso ci sembra che la « lingua madre » abbia il sopravvento naturale sull’italiano, in quanto designa profondamente il personaggio (o la situazione) e scaturisce da un approccio « affettivo » più che razionale : « pinta e linta » (ove l’allitterazione è intraducibile), « leza », « unu maccu », « istranzos », « su drollo ». Le espressioni idiomatiche, i proverbi, i modi di dire o l’intercalare sono anch’essi molto significativi, perché danno, più di ogni altro elemento, l’impressione di un linguaggio tipico, profondamente legato a una cultura : « essere di buona grista », « domo rutta », « piovere a paules », « fare malinnidades», « un’arga ‘e muntonarju », « fare il barroso » , « udire il pisti pisti », « no est pro cosa » e altri ancora. Possiamo notare che molte espressioni si ritrovano da un romanzo all’altro, come una specie di « traccia » della limba che ricorre per sottolineare un’appartenenza linguistica, un modo di parlare. Il caso letterario Camilleri ci ha dato un esempio molto significativo di questo procedimento : come faceva notare G. Sulis egli ha abituato il lettore, a poco a poco, lungo la sua produzione, a un nuovo lessico che lo rende sempre meno estraneo alla lingua meticcia dello scrittore.
Quanto alla sintassi, il substrato sardo affiora frequentemente nei dialoghi e nel testo narrativo. Questo non qualifica per forza il livello culturale dei personaggi, ma attribuisce al loro scambio verbale un che di familiare e una complicità che possono essere difficilmente resi in italiano : l’inversione soggetto-verbo (come « Bene state adesso? »), la preposizione a dopo il verbo alla forma transitiva (« pórtati a Samuele »), l’uso particolare del gerundio (« sto capendo quello che vuoi dire »), l’utilizzo dell’ausiliare avere per essere (« con tutta la pioggia che si ha preso »). I pochi esempi dati bastano per mettere in evidenza come, oltre ai termini o alle espressioni in limba, anche la parte in lingua italiana sia molto influenzata dal sardo. Questo crea una continuità tra l’incastonatura e la lingua veicolo che è l’italiano. La lingua nazionale è infatti artificio letterario (in un contesto che si vorrebbe completamente o almeno in gran parte sardo) ma impedisce, grazie a questi inserti, una vera rottura tra la finzione letterario-linguistica e la realtà tematica dell’opera. In tutti i romanzi, interi dialoghi sono riportati in sardo, quando la situazione lo giustifica o perfino lo richiede. Il lettore si serve anche in questo caso del contesto, anche se la comprensione precisa del lessico sardo non è sempre fondamentale per la comprensione del testo generale. L’impressione di estraneità, per non dire straniamento, è una piacevole sorpresa per il lettore non sardo, una sorta di ingresso nell’opera attraverso la porta della lingua.
2.2. I narratori
Un’altra caratteristica della scrittura di M. Fois è il processo di distribuzione delle voci narranti. A dimostrazione che la limba pervade tutti i registri e i luoghi narrativi, l’autore alterna diversi narratori nei romanzi considerati : per quanto riguarda il ciclo di Bustianu, nel primo episodio troviamo dei narratori distinti, nel secondo un « io » narrante (il protagonista) e nel terzo un narratore alla terza persona. In Memoria del vuoto, Fois utilizza ancora la compresenza di diversi narratori, che non hanno lo stesso valore che in Sempre caro, ma che ricoprono comunque una funzione simile : l’io narrante, il protagonista Stocchino e un narratore alla terza persona. Talvolta le frontiere fra le varie voci narranti non sono così facili da distinguere, soprattutto in episodi dal valore corale (come i momenti in cui si raccontano le « gesta » belliche di Stocchino).
Molto significativo, tra tutti, è l’esempio dato dal primo romanzo del ciclo di Bustianu, in cui si alternano tre narratori, che appaiono come una sorta di « mise en abîme » temporale : la voce narrante, alter ego dell’autore ; il narratore cronicistico che illustra i fatti e riporta i dialoghi dei personaggi (nella finzione il padre del primo narratore) ; infine Bustianu, in prima persona. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, è la voce narrante dell’autore (più vicina nel tempo rispetto al lettore) che, commentando come un coro, utilizza volentieri delle espressioni sarde, come se la storia tramandata oralmente si facesse a tratti la narrazione delle gesta eroiche del personaggio. In questo caso la limba è il filo linguistico e culturale che collega la storia di una Sardegna dell’800 alla nostra epoca. Non a caso utilizziamo il termine di « coro » : il narratore che si fa carico di redigere per il lettore una storia locale, riporta spesso i commenti di coloro che hanno assistito ai fatti, che glieli hanno a loro volta trasmessi, e si fa narratore « intrusivo » con considerazioni che sfociano nella limba e che sembrano trascritti parola per parola dall’originale. Talvolta dietro le parole del narratore si può indovinare la voce del popolo, le sue osservazioni moraleggianti ; in effetti, a questa voce narrante si devono quasi tutte le espressioni locali, i proverbi, le invettive.
Nel secondo episodio, la voce narrante del protagonista alterna limba e lingua a seconda delle circostanze : la limba è molto presente nei dialoghi con i personaggi, più densa quando si tratta di persone del popolo o di personaggi/amici d’infanzia, meno con altri. A prova di questo un esempio, in cui ‘lingua comune’ significa patrimonio condiviso : « deve passare il suo tempo prima che riusciamo a parlare la stessa lingua. E non mi riferisco al linguaggio in se stesso, mi riferisco a quella cultura che, nel bene o nel male, è un nostro patrimonio comune » (Fois 1999 : 32). Nella parte narrativa il narratore autodiegetico usa in gran parte la lingua nazionale per il racconto delle azioni, ma si nota che nelle descrizioni del paesaggio, nelle parti di riflessione profonda e nei momenti onirici, tracce cospicue di limba si inseriscono nella lingua italiana ; la voce del poeta Bustianu (e non più dell’avvocato) prende il sopravvento per descrivere la sua terra con le parole della sua terra : « Quella notte mi stava attaccata ai reni come una chintorja stretta. Come l’abbraccio del lottatore alla strumpa » (Fois 1999 : 37). Nel terzo episodio, a parte i dialoghi o gli inserti nella narrazione, lo scrittore aggiunge un’altra voce narrante, oltre a quella del narratore, una sorta di inserto omodiegetico, che si esprime con una lingua meticcia :
... Che poi di questa cosa se ne parlava già da tempo, eh, che stavano ammorando a fura, perché la madre di lui, tzia Ramunda, non è che la vedesse bene come nuora la Pattusi bella, non quella leza... (Fois 2002 : 92)
Memoria del vuoto è un romanzo costruito secondo uno schema di genere che si situa fra la tragedia e l’epica : schema complesso, in cui ogni parte viene introdotta da una invocazione (protasi) o da una voce corale (chiamata, secondo i capitoli, « primo corifeo » o « coro » o « voce fuori campo »). Già in questo luogo narrativo, che rimane esterno alla narrazione dei fatti, si può notare l’assenza quasi totale di limba4, per seguire forse la tradizione che differenziava la lingua del coro e quella dei personaggi nella tragedia antica. Nell’economia del testo l’alternanza dei narratori porta con sé una diversa distribuzione degli inserti in limba. Come nel ciclo di romanzi precedenti ci si trova di fronte a una rete complessa di diverse voci narranti : in questo caso si alternano la voce dell’io protagonista e quella di un narratore, ma talvolta le due voci si confondono, unite in un « noi » che ne accomuna l’esperienza. Nei dialoghi la lingua sarda e quella italiana sono distribuite in modo omogeneo, ma sono comunque un fattore che distingue coloro che hanno come lingua madre il sardo e gli altri. Ma quello che sembra più interessante è l’evoluzione linguistica che accompagna l’evoluzione del personaggio ; nella prima parte, l’ambientazione è sarda e i personaggi si esprimono in limba : è qui che si trova il lungo monologo del prete, il più lungo esempio di incastonatura sarda : « Samuele fit unu balente ‘e deus. Ca sa chistone fit chi cada borta chi su populu de Israele non manteniat su pattu chi ajat fattu chin Deus.... » (Fois 2006 : 32). Si ritrova poi la limba nei dialoghi dei sardi al fronte. Senza riportarli, basti questa frase che sottolinea la lenta evoluzione del personaggio Stocchino : « Tu a me cane ignorante non me lo dici ! – aveva sibilato. E forse quella era stata la prima, e più lunga, frase in italiano che avesse mai pronunciato... » (Fois 2006 : 57). Da questo momento, il soldato Stocchino inizia a esprimersi in lingua italiana. I suoi ritorni in Sardegna – dopo le due campagne a cui partecipa, in Africa e sul fronte della I Guerra mondiale – sono caratterizzati dalla ripresa della limba, ma con una presenza più forte dell’italiano. I bigliettini che il brigante lascia ai suoi nemici sono caratterizzati da quegli errori e scorrettezze di chi non si sente a proprio agio, di chi ha imparato una lingua per la sopravvivenza :
Oramai tutti quanti siete al corrente che m’anno perseguito a me e agli altri della casa mia... E io ho cominciato e perseguirò a essere carnefice contro questi figliacchi. Da ora tutti che ci faranno il male, avranno di me in paga lo stesso. Mi firmo e sono sempre Stocchino Samuele. (Fois 2006 : 94)
A poco a poco, il personaggio balente e latitante, si fa una presenza più rara, più leggendaria anche. La lingua sarda si fa anch’essa più rara, perché le azioni sono ormai in mano alle forze di polizia venute dal continente. Solo nelle riflessioni personali del protagonista si ritrova la limba, la voce interiore : « Quella che sente dentro non basta chiamarla rabbia. Este comente in gherra : s’omine rughet a terra e mancu unu muttu... » (Fois 2006 : 203). Questo è forse un modo con cui l’autore, usando un procedimento metaforico, fa notare ancora una volta la prevaricazione dell’idioma nazionale sulla limba. La scelta di M. Fois di utilizzare il genere della tragedia e dell’epica per « romanzare » la vita del brigante Stochino, trova quindi un valido supporto nell’uso della lingua sarda : la narrazione sfocia spesso nel canto delle gesta del protagonista, radicato alla sua terra, alla sua cultura, alla sua lingua.
3. Conclusione
Nei romanzi di M. Fois, la lingua sarda, lungi dall’essere solo la lingua del popolo, assume il valore antico e universale di lingua « dei popoli », idioma materno e Ur-Sprache, ma anche arma contro l’oblio. È l’unico mezzo appropriato per cantare le gesta e i fatti di una terra arcaica mettendone in rilievo, attraverso appunto la lingua e i suoi parlanti, tutte le contraddizioni. La limba è però al contempo la barriera che divide le due facce della Sardegna, l’una girata verso il progresso e la giustizia, l’altra verso la tradizione e il rifiuto. Questa differenza è spiegata in modo trasparente, con processo metalinguistico, nel terzo episodio di Bustianu in occasione di un incontro tra l’avvocato e Dionigi Mariani, « bestia sanguinaria », un faccia a faccia che mette a confronto i due rappresentanti di questa lotta tra diverse culture :
Mariani lo guarda senza rispondere, in qualche modo ha capito che deve permettere a Bustianu di rimettere ordine ai pensieri. E quando Bustianu riordina i pensieri scivola sul sardo, che pure aveva deciso di non usare in questo frangente in cui la distanza dell’italiano pare indispensabile. « Iscusae, ma deo non b’arribbo », dice infatti.
« E aitte non b’arribaes? » attacca pronto Mariani. « Itte b’at de cumbrendere? Sezis bois s’abbocau o nono? »
Così la conversazione scivola sul tono perentorio della Lingua. Perentorio e domestico. Non va bene, pensa Bustianu, non va bene proprio. Questa bestia ha più omicidi sulle spalle che campanacci un mammuthone e adesso mi vuole fare lezione di deontologia professionale » (Fois 2002 : 38).
Attraverso questo incontro anche linguistico, notiamo che la lingua sarda accomuna persone che, in questo caso, non possono trovarsi unite da una stessa cultura, perché questo vorrebbe dire che pensano nello stesso modo, che sono dalla stessa parte.
Ambientando i suoi romanzi in un’epoca in cui l’italiano sembra essere un mezzo di discriminazione piuttosto che una lingua unificatrice, M. Fois mette l’accento sul processo di omologazione subito dal Paese nell’ultimo secolo e, proponendo le sue opere plurilingui ai lettori contemporanei italiani (ed ora europei), apre lo spazio a un’espressione letteraria che, attraversando i secoli, va al di là dei confini regionali. Il suo esperimento linguistico, che si inserisce perfettamente nel panorama della nuova letteratura plurilingue italiana, è anche un modo per far riscoprire un universo a cui dare una voce.