1. INTRODUZIONE
Molte donne che sono entrate in letteratura e nel mondo editoriale nel Novecento hanno stretto alleanze genealogiche e simboliche con figure che oscillano tra il paterno e il fraterno, più raramente con le madri. La stessa Hélène Cixous che pure ha fatto scalpore lanciando l'idea di « écriture féminine » scriverà nel 1990 : « une différence entre l'auteur et moi : l'auteur est la fille des pères-morts. Moi je suis du côté de ma mère vivante. Entre nous tout est différent, inégal, déchirant. » (Cixous 1990 : 154). Il riferimento all'enunciato freudiano e lacaniano è evidente : il padre è padre-morto sul piano simbolico, ma la madre in questo caso non scompare nell'Altro, al contrario si contrappone ai « padri-morti » detentori della genealogia del simbolico, e impone, al presente, la sua differenza di « madre viva » con tutto ciò che comporta la relazione e la differenza tra loro. In primo luogo quella tra la genealogia d'autore e la genealogia di « io » figlia rispetto alla madre: secondo Cixous queste due modalità genealogiche non si sovrappongono anzi generano dissimmetria e, eventualmente, conflitti.
Nelle analisi che seguiranno potremo constatare la ricorrenza e la variazione di questo schema. In particolare vorrei verificare attraverso alcuni (certo insufficienti) esempi se la relazione tra « padre » e « figlia » sia iscritta sulla scena letteraria, se la figura paterna sia una figura « pura » o mescolata con quella materna, e, d'altra parte, se la « figlia » non sia anche, talvolta, « figlio ». Di fatto per chi scrive si offrono sostanzialmente due vie possibili o « en finir avec la généalogie » (Noudelmann 2004) rompendo con ogni riferimento genealogico, oppure ricostruire il tessuto e l'albero genealogico, cioè l'insieme dei riconoscimenti, eredità e debiti letterari che hanno contribuito alla nascita dell'autore. Di conseguenza mi pare necessario approfondire come le donne scrittrici, giunte più tardi e a fatica nell'ambito della scena letteraria, si confrontino con tale problematica e come raffigurino la « filiazione simbolica » nelle loro scritture.
Virginia Woolf che con i suoi scritti e i suoi romanzi inaugura chiaramente l'esistenza della soggettività femminile in letteratura, si è valsa di tre entrate significative nella cultura e nella letteratura : quella del padre, Leslie Stephen, eminente erudito, quella del gruppo misto di Bloomfield, in cui figuravano i fratelli, la sorella e intellettuali di primo piano dell'intellighenzia londinese, e infine quella del marito Leonard Woolf con il quale crea la casa editrice Hogarth Press. La madre non figura sullo stesso piano, è piuttosto « madre morta », riferimento fantasmatico e immaginario. Due cose vorrei sottolineare di questo primo esempio: l'una è che se il padre ha una funzione decisiva, aprendo alla ragazza le porte della sua biblioteca e quindi permettendole di entrare nel suo mondo, quello della cultura, del sapere, della tradizione, accanto a lui ci sono altre figure « laterali », non collegate alla filiazione diretta, fratelli, sorelle, e intellettuali che incarnano ora l'una ora l'altro. È questo insieme di relazioni affettive, simboliche e colte che costituiscono per Virginia la rete simbolica grazie alla quale può iniziare l'avventura della scrittura. Aggiungerei che non è detto che le figure maschili siano puramente maschili, quella di Leonard, il marito che le dà il nome d'autore, è per esempio una mescolanza paterna-fraterna-materna. Quest'ultima osservazione mi permette di avanzare anche un'altra ipotesi e cioè che spesso i ruoli sono confusi, ci sono commistioni, « brouillages », sovrapposizioni, cioè ogni autore nasce da configurazioni singolari di figure parentali e famigliari.
A questo punto mi sembra che la filiazione « simbolica » si possa esaminare su tre diversi piani: quello della filiazione simbolica all'interno delle relazioni famigliari dell'autore (piano biografico), quello della filiazione all'interno del mondo letterario, e infine quello dell'iscrizione della filiazione attraverso la fiction: l'invenzione testuale e romanzesca.
2. FILIAZIONE SIMBOLICA DELL’AUTORE
La « filiazione simbolica » come la condizione dell'iscrizione autoriale in letteratura, avviene grazie a una separazione che permette l'iscrizione di una singolarità autonoma. La figura dell'autore è altro/altra rispetto alla persona fisica che scrive anche se intrattiene con questa relazioni biografiche. L'autore sarebbe da una parte connesso alla genealogia biografica dall'altra all'origine di un'altra genealogia questa volta esclusivamente o quasi, immaginaria e letteraria. In ogni caso si tratterebbe di una genealogia necessariamente eteronoma e eterogenea, una costellazione di figure provenienti dagli spazi letterari, scelte per affinità, corrispondenti a incontri e passioni: è in questa famiglia elettiva che l'autore può iscrivere il proprio nome e la propria firma.
L'adozione di uno pseudonimo è un atto di eteronomia che disgiunge filiazione genealogica, biografica e filiazione letteraria. Alcune donne l'hanno fatto scegliendo di preferenza un nome maschile – in genere per evitare una censura e un rifiuto dovuto al loro sesso – altre per iscrivere manifestamente l'altra persona, non quella biografica ma quella letteraria. È indubbio che si debba interpretarlo come un gesto di rottura con il nome paterno o maritale. Il senso di questo cambiamento di nome non è soltanto storico o sociale, indica anche il marchio di una differenza tra l'io personale sessuato e l'altro autoriale. Il primo tratto della filiazione simbolica che separa e unisce è quello tra la persona e l'autore.
2.1 Filiazioni e rotture : Una donna di Sibilla Aleramo
Alcune scrittrici hanno effettuato rotture clamorose con padri seducenti, ma tirannici e autoritari, in misura minore con le madri (anzi questa è piuttosto storia recente legata ai movimenti femministi post Deuxième sexe) e talvolta con i figli. Dicendo questo faccio riferimento in primis alla figura fondamentale per la letteratura femminile e femminista italiana, Sibilla Aleramo (Rina Faccio). Il suo romanzo autobiografico del 1906, Una donna1 è ormai da tempo riconosciuto come un libro che ha concretizzato una crisi nei rapporti delle donne con il patriarcato, la rivolta contro l'immagine sacrificale delle donne nel matrimonio e nella vita sentimentale e sessuale, per non parlare della decisione sofferta di abbandonare insieme al marito il figlio, interrompendo così un rapporto fondamentale per una donna. Il nome d'arte Sibilla Aleramo le viene dato (o suggerito) da Giovanni Cena, scrittore e artista e amante di Rina Faccio: pare che Aleramo corrisponda a un luogo nominato in una poesia di Carducci, quanto a Sibilla varie ipotesi sono possibili: mistero, fascino, profezia etc., tutte componenti della femminilità mitica. Traggo queste informazioni da una delle biografie romanzate di Sibilla Aleramo, quella di René de Ceccaty, che ha attinto oltre che all'opera soprattutto all'ampio carteggio della scrittrice. Tuttavia per la mia analisi mi atterrò al romanzo, in cui l'autrice ha compiuto chiaramente delle scelte narrative e stilistiche, da qui omissioni e ellissi. Come avrebbe dichiarato la scrittrice più tardi, le premeva più il piano simbolico dei rapporti che la narrazione dettagliata degli eventi.
Essendo Una donna uno scritto autobiografico, sono le figure parentali che definiscono i termini della filiazione. Tuttavia l'esito della storia è una « disaffiliazione » che comincia con la squalifica della figura paterna e si conclude con la rinuncia dolorosa al figlio. Nell'infanzia il padre è il riferimento dell'autorità e del riconoscimento, ma nel passaggio verso l'adolescenza la bambina « preferita » dal padre e rivale della madre (secondo uno schema prettamente edipico) si sente tradita dalla disaffezione paterna nei suoi confronti e soprattutto nei riguardi della madre. È evidente a questo un punto il tentativo di riequilibrare gli investimenti, anche perché il sentimento di adorazione per il padre (il padre è l'idolo della figlia) suscita un senso di colpa nei riguardi della madre, una donna che ha sacrificato la propria vita al marito e alla famiglia, la cui salute fisica e mentale si degrada progressivamente dopo un tentato suicidio.
2.2 Da figlia a donna
Il quadro presentato dalla narratrice di Una donna corrisponde quindi per molti aspetti all'analisi freudiana della femminilità: di fatto la bambina felice, amata dal padre, ambigua rispetto alla madre debole e infelice, potrebbe diventare una « donna maschile » più figlio che figlia : condotta giovanissima dal padre in fabbrica, assume atteggiamenti da ragazzo, da compagno più che da ragazza « civettuola », la sua precoce indipendenza di idee sembra allontanare l'assunzione di un'identità femminile docile, sottomessa e passiva. Il padre è all'inizio, nella fase positiva e amorosa, un padre autorevole che insieme riconosce la figlia e si pone come l'iniziatore alla cultura, alla critica, alla libertà di pensiero e di azione. Questa identificazione è compromessa dalla deriva autoritaria del padre, dall'intuizione da parte della figlia delle relazioni extraconiugali, ma soprattutto dal suo opporsi al proseguimento degli studi della figlia. A tali delusioni sentimentali e simboliche si aggiungeranno la malattia materna, e lo stroncamento dell'identificazione della figlia alla figura della futura « donna indipendente » che avviene come conseguenza della violenza sessuale da parte dell'uomo che diventerà suo marito (contro la volontà del padre). La storia di Una donna ci fa capire che alla base della filiazione simbolica c'è quasi sempre une negoziazione simbolica le cui radici sono sociali e culturali: al momento della decisione di privare la figlia dell'istruzione il parere della madre è inesistente, non ha peso perché la madre stessa è percepita come inferiore socialmente, intellettualmente, moralmente. Non può quindi costituire per la figlia un valido sostegno per contrastare e sovrastare la volontà paterna. Sarà invece traumatico il suo precipitarsi nella consapevolezza di un corpo femminile oggetto sessuale e avvilito dalla violenza subita; la ragazza abbandona almeno temporaneamente l'identità forte e indipendente che si era formata e finisce per cedere alla richiesta riparatrice di matrimonio, lasciata quasi indifesa dal padre che pur vi si oppone. Quanto all'uomo seduttore, poi marito, diventa di fatto il rappresentante del suo asservimento, il marchio della colpa e della vergogna.
2.3 Da madre a scrittrice
Il secondo evento importante di questa storia di una donna è la nascita del figlio, la maternità, è raccontata da Sibilla Aleramo come un'esperienza fondamentale. La relazione madre/figlio (donna/figlio) soppianta tutte le altre relazioni, è una vera e propria istituzione della filiazione che accantona quella paterna e quella sessuale tra donna e uomo, moglie e marito. L'inizio della sua attività di scrittrice coincide con il diario in cui annota le riflessioni su di sé e il bambino, ed è propriamente questo « diario » che è in nuce la futura « lettera al figlio » che è Una donna:
Su un libriccino segnavo le date maggiori dell'esistenza fragile e preziosa della quale vivevo e che respiravo come se fosse stata la sola aria per me vitale. Quegli appunti, insieme a qualche notazione rapida del primo destarsi dell'intelligenza nel bimbo e delle impressioni varie che ne risentivo, sono il mio esordio di scrittrice. (Aleramo 1977 : 76)
Ci tengo a sottolineare questa affermazione della scrittrice perché se non indica un capovolgimento della filiazione simbolica che istituisce l'autorevolezza dell'autore (dal padre al figlio/figlia) fa emergere un'altra possibile base dell'autorità femminile nella relazione materna e filiale, uno schema che cambia a mio parere le regole patriarcali: qui è la giovane donna che si ricrea nel mettere al mondo un altro essere (soprattutto di sesso maschile) e innesta in questa doppia nascita il processo creativo, simbolico. Seconda osservazione importante: dal momento in cui Rina Faccio diventa autore (Sibilla Aleramo), istituisce l'esordio della scrittura in quella particolare configurazione filiale. In base all'autorevolezza acquisita dall'atto di scrittura che definisce i termini della nascita dell'autrice e della scrittura.2
Ci saranno certo altri incontri che consolidano questa « istituzione », dal momento che il libro racconta il processo di una costruzione autoriale, che va dalla filiazione genealogica a quella simbolica. Ci sarà la « buona mamma » anch'essa scrittrice e iniziatrice del femminismo e della lotta sociale, e ci sarà « l'antico professore »: figure tutoriali che, pur riscrivendo la filiazione genealogica (la buona mamma), cominciano ad affrancarsene. È chiaro che a un certo punto la filiazione genealogica deve essere soppiantata da un'altra relazione che segna la rottura con la genealogia, e permette a Sibilla Aleramo di diventare Sibilla Aleramo, l'autore/autrice. Di fatto non è la rottura con la figura materna ma piuttosto la consapevolezza di una distanza necessaria dalla madre vittima : « Ma la buona madre non deve essere, come la mia, una semplice creatura di sacrificio: deve essere una donna, una persona umana. »3 (Aleramo 1977 : 115). Nel commentare il libro di Aleramo e la sua importanza per la letteratura successiva, Laura Fortini sottolinea proprio questo spostamento nel senso di un'identità femminile che non si appoggia più sulla identificazione al materno sacrificale ma piuttosto sulla rete di relazioni con le donne impegnate nella lotta per la loro emancipazione. Una donna « traccia un percorso non di formazione, ma di deformazione dell'essere femminile così come la tradizione l'aveva determinato fino a quel momento per collocarsi in un nuovo ordine » (Fortini 2007 : 42). Il romanzo di Sibilla Aleramo non esalta la maternità sacrificale né sacralizza il legame madre-figlio, tuttavia drammatizza la scelta tra esistere pienamente come donna e come scrittrice, e l'amore per il figlio, nella lucida consapevolezza (ed è questo uno dei maggiori pregi del romanzo e una delle ragioni del suo successo) che in un mondo ancora dominato dal patriarcato, forse non riuscirà in ogni modo a fare di lui un altro uomo, che la « filiazione materna » sarà ancora insufficiente per contrapporsi a quella paterna:
Mi odii, ma non mi dimentichi! / E verrà educato al culto della legge, così utile a chi è potente: amerà l'autorità e la tranquillità e il benessere... Quante volte afferro il suo ritratto, in cui le fattezze infantili mi par che ora annunzino negli occhi il mio dolore, ora nell'arco delle labbra la durezza di suo padre! Ma egli è mio. Egli è mio, deve somigliarmi! Strapparlo, stringerlo, chiuderlo in me!... E sparire io, perché fosse tutto me! (Aleramo 1977 : 203)
Per quanto dolorose sono proprio queste rotture che le hanno permesso di sottrarsi al giogo famigliare e coniugale e di scegliere un altro percorso, di donna e scrittrice indipendente. In questa scelta si confronterà con altre figure maschili e femminili che fungeranno da intermediarie con il mondo letterario. Quanto al libro esso costituirà a lungo e fino ad oggi una svolta decisiva della narrativa femminile:
[...] in quanto punto di cesura rispetto a quanto scritto fino a quel momento, cesura che le scrittrici successive terranno comunque presente, romanzo comunque e sempre letto, ripreso, contestato, variamente affrontato, da cui quindi non si può prescindere per la genealogia di scrittrici che verranno poi. (Fortini 2007 : 42)
3. FILIAZIONE ROMANZESCA, IMMAGINARIA E SIMBOLICA : IL LIBRO DEI SOGNI MORANTIANO
I romanzi di Elsa Morante forniscono spesso esempi di filiazioni interrotte o disordinate, non certo in seguito alla ribellione dei personaggi femminili, ma per distorsioni genealogiche o affettive. Si pensi soprattutto a Menzogna e sortilegio in cui accanto alle varie coppie genitoriali e parentali emerge la figura del Cugino, figura laterale per eccellenza, la cui potenza fantastica concentra uno dei nuclei affettivi e narrativi più forti del romanzo. Il protagonista dell'Isola di Arturo è un orfano di madre, seguace fin dall'infanzia di un padre-eroe, quasi sempre assente, e profondamente ambiguo quanto alle sue preferenze sessuali. Ne La Storia i padri o sono materni e protettori (Giuseppe Ramundo, padre di Ida), o muoiono prematuramente, Alfio, il marito di Ida e padre di Nino, o il soldato tedesco, Gunther, padre di Useppe e morto prima ancora di conoscere la sua « paternità », e infine, Nino, ignaro padre di una bambina, Ninuccia, di cui soltanto Useppe sarà a conoscenza. Per terminare il quadro molto schematico, cosa pensare dell'incontro conclusivo tra padre e figlio nell'ultimo romanzo di Morante, Aracoeli, laddove questo si configura come il racconto di un lungo viaggio a ritroso verso l'origine materna, discesa in inferno più che salita verso un paradiso ormai perduto. L'ultimo tratto porta inaspettatamente al padre morente a cui il figlio Manuel fa una dichiarazione d'amore postuma, riscatto simbolico per tutti i padri-morti, persi o spersi sulla strada della scrittura morantiana: scioglimento di un ennesimo nodo edipico ?
Ma il libro forse più radicale rispetto al sistema d'iscrizione delle filiazioni è certo Il mondo salvato dai ragazzini: i felici pochi di cui l'emblema è la croce nelle cui caselle figurano i nomi di filosofi, poeti, artisti, scrittori cari all'autrice e la figura del pazzariello sono i rappresentanti della comunità a-genealogica di cui parla il filosofo François Noudelmann.4 I suoi membri non hanno relazioni famigliari ma sono riuniti dalla « semblance », la somiglianza (la felicità) e non la rassomiglianza (segno della discendenza comune). Quanto al pazzariello, i suoi dati anagrafici lo sottraggono a qualsiasi ricerca di paternità o maternità e lui stesso non sarà genitore di nessuna discendenza. Il progetto anarchico-poetico di Morante trova in questo libro di poesie la più compiuta ed estrema espressione.
3.1 Diario dell'autrice in sogno
Vorrei attirare ora l'attenzione su uno dei pochi testi « direttamente » autobiografici di Morante, Diario '38 oppure Lettere ad Antonio, in cui attraverso sogni e commenti auto-analitici emergono figure ora famigliari ora letterarie, in particolare una: la figura di Franz Kafka. Chi è questo Kafka ? Non certo un padre, piuttosto un alter ego, figlio/fratello, su cui si concentra un desiderio ambiguo e intenso. Come premessa si deve tener presente che diversamente dal romanzo di Aleramo e dall'opera narrativa della stessa Morante, questo testo deve essere considerato con una certa prudenza. Infatti pur essendo autobiografico, esso espone, attraverso i sogni, la parte inconscia dell'io. È un testo di frontiera tra persona e personaggio, reale e immaginario, conscio e inconscio, nome e pseudonimo. Come seguire attraverso il labirinto del sé le tracce delle filiazioni? La prima che si dovrebbe esaminare si situa tra l'io scrivente e le figure del sogno, tra cui (l'altra) se stessa: è un enigma difficile da risolvere, soprattutto perché il tracciato è estremamente fitto e scarsi sono i dati per decifrare i riferimenti. Pochi sono stati i commenti o le ipotesi per identificare Antonio a cui le lettere-sogni sembrano indirizzarsi. Antonio è il nome usato da Morante per parlare del primogenito della famiglia, morto alla nascita (il cui vero nome peraltro era Mario), in un articolo pubblicato nel dicembre 1939 nella rivista Oggi e intitolato « Nostro fratello Antonio ». La fonte narrativa della breve storia di Antonio è principalmente la madre, che conferisce un'esistenza leggendaria al figlio perduto : « A suo dire infatti il fratello Antonio, se fosse rimasto in vita, sarebbe stato un profeta o un genio, e avrebbe provveduto a rialzare l'onore della famiglia » (Morante 1988 : xx). Secondo quanto precisa la curatrice della prima edizione del diario inedito fino al 1989, Alba Andreini, la dicitura « Lettere ad Antonio » figura, nel manoscritto, sul recto della prima pagina, al centro, ma tale titolo è stato considerato « incongruo » e gli si è preferito Diario '38. Tuttavia nelle Opere complete, I Meridiani (1990), il titolo principale è di nuovo Lettere a Antonio. Elsa Morante firma inoltre Antonio Carrera alcuni suoi articoli per la rivista Oggi; quindi Antonio raffigura per molti aspetti l'alter ego di Elsa, il destinatario intimo del diario. Altri indizi portano a ravvicinare Antonio e A. l'iniziale di Alberto (Moravia) con il quale Morante vive una storia d'amore dagli inizi difficili: in quanto tale, A. è il destinatario del desiderio, dei fantasmi e sogni erotici della scrivente. Se insisto su queste variazioni del titolo (ricordiamo tra l'altro che per Morante la scelta del titolo è una questione della massima importanza) è per sottolineare la portata complessa di tali configurazioni simboliche, proprio nel caso in cui il destinatario include in parte il soggetto scrivente. Per ognuna di queste possibili identificazioni non parlerei tanto di « filiazione » ma di fratellanza che sfocia su altre fratellanze/filiazioni simboliche.
3.2 Un caso di filiazione fraterna: il sogno di Elsa Kafka
Il Kafka del sogno del 25 febbraio 1938 intitolato « La morte di K. » potrebbe essere letto e interpretato in questa prospettiva. Come spesso accade per i personaggi dei sogni, K. accumula tratti molteplici, in parte derivati dallo scrittore e dal K. del suo Castello, in parte appartenenti all'io sognante, in parte a colui a cui Elsa pensa in questo periodo, cioè all'amico e futuro marito Alberto. La culla di Franz Kafka è quasi un'emanazione della biblioteca: « Nessuno pareva badare al fatto che là contro la stessa parete della biblioteca c'era un letto o meglio una culla tutta coperta di veli chiari. In quella culla lussuosa moriva Franz Kafka » (Morante 1990 : 1610). Non è del tutto vero che « nessuno gli bada », proprio la narratrice lo riconosce, lo compiange e lo accompagna verso la fine inevitabile :
Povero ragazzo, ti riconosco, sei proprio come nella fotografia. [...] Vedo ora che sul suo vestito scuro hanno posto una vesticciola da ragazza, sbottonata dietro e piuttosto corta e larga, a fiori vivaci gialli, rossi e blu, di cretonne ordinario. Lui sta fermo in piedi, e lascia fare. Ora gli mettono la benda sugli occhi, la riconosco, guarda è quella striscia di seta nera sfilacciata che a volte adopero per stringermi i capelli. (Morante 1990 : 1610)
La « vesticciola da ragazza » e la benda nera sono gli attributi imprestati dalla narratrice all'Io-Kafka, che porta in questo modo le insegne del 'bambino-ragazzo-uomo' e della ragazza. L'io è anch'essa forse un povero ragazzo che soffre dell'esclusione e della negligenza degli altri, teme e desidera la 'morte'. In ogni caso questo è il suo commento :
Questo sogno è proprio la morte, la triste mascherata. Ora, K. a un certo momento si confondeva con me stessa (quel vestito da ragazza, a fiori, quel panno nero che metto io in testa). Ero io dunque che morivo? In certi momenti si confondeva con A. o meglio con la paura che io avevo per A. Troppo era lo struggimento tenero, disperato che provavo. (Morante 1990 : 1611).
È proprio nell'intreccio di questi diversi fili che « l'artista del sogno » sa così bene annodare, che si disegna a mio avviso una filiazione simbolica grazie alla quale la scrittrice ravvede nel lui un altro lei, e questo « fino alla morte ».
3.3 Ambivalenze filiali
Se Antonio, K. e in parte A. sono gli altri sé destinatari e proiezioni dell'io autoriale, come sorgono nel sogno le figure materne e paterne? Il sogno del 20 gennaio 1938 rivela la relazione tormentata col padre « legittimo » che ha dato il nome alla figlia « Morante » ma non è il padre naturale (Nicola Lo Monaco). Il dramma della doppia paternità appare nei romanzi di Morante, e in particolare in Menzogna e sortilegio, proprio attraverso il personaggio di Francesco, il padre di Elisa, il cui padre naturale è certo Nicola Monaco. Nel sogno il padre legittimo è una figura avvilita, di cui la sognatrice prova vergogna. A più riprese gli grida di andarsene e infine riesce forse a ucciderlo: sogno parricida ? : « Tendo l'orecchio. "È morto, – penso con disperazione, con rimorso. – Tutti lo scacciano, quest'essere odioso. Adesso si sentirà il tonfo". – Tutti aspettano con me, tranquilli, ma il silenzio continua. Non si sente nessun suono, tutti sono calmi – » (Morante 1990 : 1583) Fine della crisi : vivo o morto il padre ritornerà, come il fantasma del padre di Amleto, a ossessionare l'anima della figlia. Del resto come rimuovere del tutto il padre-morto, il revenant che si ripresenta in sogno? Naturalmente non si tratta di risolvere un dilemma psicologico o analitico, ma di cogliere i termini di una relazione problematica che sembra escludere a priori l'elemento dell'amore filiale o paterno. Qui e là risorgono figure ambigue e anomale (tra l'animale e l'umano) che suscitano insieme fascino e ribrezzo, come il pesce « quasi divino » che la sognatrice /narratrice associa a Platone (23 gennaio) e suscita sentimenti simili : « [...] sentivo venirmi da lui una corrente di muto rimprovero, tormentoso, acutamente doloroso. Mi sentivo piena di vigliaccheria e di rimorso a causa di lui » (Morante 1990 : 1589). L'animale anfibio e disgustoso ricorda ovviamente lo scarafaggio della metamorfosi kafkiana.
Anche la madre sorge come figura tra la vita e la morte, ma non suscita né rancore né rabbia, soltanto timore, anzi terrore che sia morta. Vedi il sogno del 28 gennaio: « Più tardi, ed ero semisveglia, si accostò a me chino sulla mia testa il pallore di mia madre. Non posso chiamare altrimenti quel viso d'ombra, con pochi capelli scendenti e bianchi. Mi era consolante, dolcissimo. » (Morante 1990 : 1595). In altri sogni la femminilità è associata alla figura materna: è la madre che possiede quei particolari fiori che lei desidera più di ogni altra cosa, i fiori rosa che sono il segno dell'erotismo che percorre il diario : « Con un desiderio enorme fissavo uno di quei vasi e supplicavo mia madre di darmelo. Ne aveva tanti! » (Morante 1990 : 1584). L'abbondanza dei fiori è il segno dell'enormità del desiderio, di quella femminilità che madre e figlia in quanto donne dovrebbero condividere: la madre darà o non darà i suoi 'fiori' alla figlia? questa sarà autrice-donatrice di fiori-testi in abbondanza o avara e infeconda? L'opposizione sottintesa è tra fertilità e aridità/avidità e si riferisce innanzitutto alla relazione fondamentale con la figura materna che visita i sogni della figlia/donna ma anche la sua fertilità o infertilità simbolica in quanto sognatrice/scrittrice. I numerosi sogni di morte (tra cui quello di Kafka è uno dei più significativi) hanno come protagonisti tutti i principali personaggi di questo « libro di sogni ». L'incombenza, la possibilità e la minaccia di morte contrastano il desiderio, i segni di un corpo femminile teso verso l'amore, il godimento del proprio e dell'altrui corpo. L'angoscia è il segno della resistenza a questo desiderio prepotente (la castrazione, il senso di colpa, la punizione, l'impossibile parricidio e matricidio).
Chi nascerà da questo conflitto straziante ? Varie osservazioni accennano a una costruzione che potrebbe sottrarsi alla morte: la cattedrale: « Si può dunque fare una Recherche anche nel territorio del sogno. [...] « Che miracolo il sogno! Ora capisco da dove è nata la grande e ombrosa cattedrale del mio » [...] « Fatto strano e misterioso, sognare così spesso delle cattedrali. » (Morante 1990 : 1623)
Il libro dei sogni può diventare una cattedrale, struttura arcana, complessa che contiene e rivela segreti, accende e sviluppa fantasie, mantenendo collegamenti tra le zone inconsce dell'io e la storia, il presente, il reale. È questo collegamento che mi sembra una delle chiavi per la formazione dell'autore e dell'opera morantiana, cioè la traccia della filiazione simbolica tra l'io, l'es, e l'autore, tra l'immenso territorio del sogno (in cui figurano tutte le specie di fantasie, fantasticherie, fantasmi di cui per esempio Menzogna e sortilegio sarà il romanzo cattedrale) e l'altrettanto spaziosa cattedrale romanzesca. Le figure del sogno generano i personaggi del romanzo, tramite ulteriori trasformazioni e metamorfosi:
Ospite sconosciuto.
Da dove vengono i personaggi dei sogni? Intendo dire non quelli che, più o meno vagamente e fedelmente, raffigurano i personaggi della nostra vita diurna, ma gli altri, gli ignoti. E alcuni (ad es. quella suora della cattedrale) hanno un carattere ben delineato, umano. Sono vere e proprie creazioni artistiche. (Morante 1990 : 1993)
4. CONCLUSIONE
Seguendo questi due percorsi del diventare autrici/autori abbiamo cercato di tessere dei rapporti tra la riflessione autobiografica, la scomposizione e ricomposizione delle filiazioni biografiche e l'emergere di altre filiazioni, immaginarie, letterarie e simboliche. Il romanzo di Aleramo mette in luce chiaramente in che modo il divenire scrittrice implichi una serie di rotture con ruoli e identità, e l'istituzione di nuove relazioni al di fuori di dipendenze e schemi. Anche per Morante diventare autore significa quindi ricomporre la memoria autobiografica dove si iscrivono la trasmissione, la nascita, le relazioni costitutive dell'Io, e la trama dei desideri, dei paesaggi interiori del corpo erotico, le figure genitrici diventano figure simboliche tramite una serie di trasformazioni e innesti che fanno del materiale autobiografico materiale romanzesco, delle identificazioni primarie gli 'ignoti personaggi' generati dall'alta fantasia del poeta, e ospiti del romanzo cattedrale.
Riferimenti bibliografici
Aleramo, Sibilla (1977). Una donna (1906), Milano : Feltrinelli.
Bono, Paola/Fortini, Laura, Eds. (2007). Il romanzo del divenire, Roma : Iacobelli.
Cixous, Hélène (1990). Jours de l'an. Paris : Éditions des femmes.
De Ceccaty, René (2004). Sibilla Aleramo. Nuit en pays étranger, Paris : Éditions du rocher.
Morante, Elsa (1988). Opere Complete vol. I. Eds. Carlo Cecchi / Cesare Garboli (I Meridiani), Milano : Mondadori.
Morante, Elsa (1990) Opere Complete vol. II. Eds. Carlo Cecchi / Cesare Garboli (I Meridiani), Milano : Mondadori.
Noudelmann, François (2004). Pour en finir avec la généalogie, Paris : Éditions Léo Scheer.
Ramond, Michèle/Rodriguez, Béatrice, Éds. (2008). Les femmes et la filiation, Paris : Indigo.