Un problema pirandelliano

DOI : 10.58335/filiations.81

Résumés

Constatati preliminarmente da un lato il difficile rapporto che nella sua vicenda biografica Pirandello ebbe con suo padre e dall'altro la sua consuetudine di rielaborare materiali desunti dalla narrativa ottocentesca, si passa ad esaminare il rapporto fra due sue novelle e due testi, l'uno di Poe e l'altro di Verga. Si rileva inoltre la suggestione esercitata su Pirandello dalla figura di Shakespeare, per concludere chiedendosi se e in quale dei casi proposti si configuri un rapporto di filiazione.

On constate d’un côté la relation difficile que Pirandello entretenait sur le plan biographique avec son père, d’un autre côté sa tendance à élaborer les matériaux fournis par la tradition narrative du XIXe siècle. On passe ensuite à examiner le rapport entre deux de ses nouvelles et deux textes, l’un de E.A. Poe, l’autre de G. Verga. On évoque également la suggestion que semble exercer sur Pirandello l’image de Shakespeare. On s’interroge, pour terminer, sur l’opportunité de définir en termes de filiation l’un ou l’ensemble des cas étudiés.

Plan

Texte

1. PREMESSE

Il tema e i suggerimenti proposti da Bonnet e Sangirardi mi hanno fatto venire in mente delle considerazioni su alcuni testi e mi hanno indotto a rinnovarmi degli interrogativi che già mi si aggiravano nella mente riguardo ad alcuni di essi. Intendo perciò sottoporvi delle osservazioni sull'opera di Pirandello ed enunciare un quesito che da esse discende: non prospettare soluzioni ma porre domande. Ma prendiamo le mosse da qualche considerazione preliminare.

1.1 Prima premessa

Costituzionalmente problematico e conflittuale il rapporto tra padre e figlio così come si presenta nella letteratura moderna. Tanto che uno studio fortunato di alcuni anni or sono ha fatto risalire l'origine del romanzo moderno a un conflitto originato dal disconoscimento della paternità e dalla ricerca d'un nuovo padre da sostituire al proprio, a quello socialmente riconosciuto ma non accettato dal figlio (Robert 1972). Tematica particolarmente urgente in Pirandello, autore d'una Favola del figlio cambiato, scritta per la musica di Gian Francesco Malipiero, e la cui composizione, soggetta a vari ripensamenti e vicissitudini, occupò a lungo lo scrittore (cfr. D'Amico 2007). Da questo testo drammatico Andrea Camilleri avrebbe tratto il titolo d'una biografia del suo conterraneo Luigi Pirandello: Biografia del figlio cambiato. Così Camilleri riassume la vicenda del dramma: « una madre che ha un figlio deforme si convince che quello non sia il suo, ma che il vero figlio sia stato rapito dalle streghe, che hanno lasciato l'altro al suo posto. Un giorno arriva su una nave un principe giovane e malato, venuto a curarsi al sole del sud. E subito la madre si convince che il principe è il suo vero figlio. Il figlio storpio [...], geloso, vuole assassinare il principe senza riuscirci. Intanto il padre del principe muore e il giovane viene proclamato re. Ma il principe rifiuterà di ripartire per il suo paese. E propone uno scambio: al suo posto incoronino lo storpio. I ministri rifiutano la proposta. [...] la conclusione sarà quella voluta dal principe: sulla nave venuta a prenderlo salirà al posto suo il buffo, miserevole re da burla » (Camilleri 2000 : 43-45). E Camilleri aggiunge: « Forte la fedeltà, nel corso degli anni, dello scrittore e drammaturgo Pirandello a questa storia popolare sentita da bambino » (Camilleri 2000 : 45). Storia che viene rievocata alla fine della sua carriera drammaturgica, nei Giganti della montagna.

Luigi, che in una lettera si autodefinisce « figlio del caos » (Camilleri 2000 : 19), passa anche lui attraverso un disconoscimento del proprio padre, un riconoscimento della propria diversità da lui. Il fatto scatenante è la scoperta che il padre tradisce sua madre con un'altra donna. « La relazione non solo offende il quattordicenne Luigi, ma per lui rappresenta la controprova, semmai ce ne fosse stato bisogno, della sua diversità dal padre, uomo capace anche di "tradire" » (Camilleri 2000 : 90). Nella prospettiva delineata da Camilleri la volontà di rimarcare e confermare questa diversità diviene decisiva per Pirandello, e s'intromette, ovviamente, nelle sue opere: nel Fu Mattia Pascal, per esempio: « la trasformazione di Mattia Pascal in Adriano Meis altro non è che il procedimento, qui opportunamente romanzato, della morte del fu Luigi Pirandello e della sua rinascita, finalmente, come Luigi Pirandello, figlio cambiato e quindi senza una reale paternità » (Camilleri 2000 : 171); o « nei tre atti della Ragione degli altri, incentrati sul rapporto del padre con la cugina ex fidanzata. Nella realtà, quell'episodio era indissolubilmente legato a un gesto: quello di Luigi che sputa in faccia all'amante del padre mentre questi se ne sta nascosto dietro una tenda » (Camilleri 2000 : 217-218); o nei Sei personaggi in cerca d'autore, dove il personaggio del Padre ha una funzione centrale: « non c'è dubbio che il punto forte è rappresentato dall'avere Luigi agganciato e sospeso il padre nell'atto d'averlo sorpreso con l'amante » (Camilleri 2000 : 220) (e così abbiamo toccato alcuni dei più noti suoi capolavori). « Questo personaggio del Padre nel quale », commenta Camilleri, citando Szondi, « "si esprime la verità più intima di Pirandello" (Szondi), verità resa più forte da una sorta di commistione, di osmosi tra l'autore e il personaggio del Padre. Sotterranei, profondi, esili canali che trasportano linfa vitale dall'uno all'altro, e rendono difficile, nel loro intrecciarsi, l'identificazione dell'appartenenza » (Camilleri 2000 : 222). E il disconoscimento del padre gli condiziona l'intera esistenza. La scelta della facoltà universitaria, per esempio: sceglie Lettere, e non Legge come voleva suo padre (cfr. Camilleri 2000 : 114). E, ancor più visceralmente, i rapporti interni alla sua famiglia: quelli con sua moglie, pazza ma a cui si mantiene sempre legato, nonostante una sua « rancorosa ostilità » nei confronti di lei: « D'altra parte, » osserva sempre Camilleri, « allontanarla sarebbe ammettere la sconfitta del figlio cambiato: egli non possiede che quella vita che ha voluto ostinatamente crearsi e deve patirne l'imprevisto, spaventoso disagio » (Camilleri 2000 : 203). E condiziona anche i rapporti con suo figlio Stefano: « Finché resterà in vita, farà indossare la livrea di alter ego minore al figlio Stefano »: così Camilleri, che subito dopo cita Sciascia: « Inquieti, dunque, i loro rapporti: come del resto erano stati, per ragioni che si potrebbero dire 'materne', quelli di Luigi Pirandello col padre » (Camilleri 2000 : 256).

Questo sul piano della biografia. Ma, per quanto essa possa essere interessante, c'interessa soprattutto l'opera.

1.2 Seconda premessa

Pirandello, com'è noto, utilizza i materiali che si trova a portata di mano. Figlio della narrativa ottocentesca, ne riprende tematiche e situazioni, rielaborandole a modo suo. A proposito di uno dei più celebri drammi pirandelliani, Il giuoco delle parti, mi è capitato di evocare come possibile antecedente le Illusions perdues di Balzac, cercando di mostrare le coincidenze fra le situazioni che in ambedue i testi conducono a un duello in difesa dell'onore d'una donna sposata e adultera (Morabito 2002). E più tardi, ripercorrendo l'Anna Karenina di Tolstoj, mi è parso di scorgere delle coincidenze significative con lo stesso dramma (Morabito 2004). Non voglio essere categorico nelle mie deduzioni. Già a proposito del rapporto con Balzac ho manifestato se non proprio delle riserve almeno delle limitazioni: « Rapporto intertestuale diretto, allora? Filiazione di Pirandello da Balzac? [...] credo che l'ipotesi sia difficile da accreditare. Ma anche in questo caso la coincidenza è significativa. Una situazione i cui termini sono quelli tradizionali. Ma poi uno scarto, una discrasia che conduce al ribaltamento della situazione e ad un esito completamente inatteso » (Morabito 2002 : 715). Fra l'altro assieme a Balzac m'era venuto da evocare uno scrittore caro a Pirandello: Verga, il Verga dell'inizio di Eros. A significare che, se pure non discendeva direttamente da quegli autori, Pirandello almeno a loro era legato da un assodato rapporto di parentela. E la sua opera « s'inquadra in un complesso tematico diffuso nella letteratura immediatamente precedente. Ma, come è suo costume, Pirandello nel riprendere quei temi tira la corda fino a trascinarli a conseguenze estreme » (Morabito 2002 : 711).

Rapporto di parentela che la posteriorità cronologica di Pirandello indurrebbe a delineare come rapporto di discendenza. Ma se si vuol parlare di rapporto intertestuale diretto, da individuo a individuo, allora le cose diventano meno ovvie e meno facili da dimostrare. Mentre il discorso diventa più agevole se ci si muove su un piano di interdiscorsività (per adottare la terminologia di Segre), d'un rapporto costituito dalla condivisione di temi e di atteggiamenti che sono diffusi e non comportano necessariamente un contatto diretto fra due testi.

Per Pirandello potrebbe essere il caso del legame che si può riscontrare fra Diana e la Tuda e il Balzac dello Chef d'oeuvre inconnu (Morabito 2002) o di quello, già segnalato da Croce (che chiama in causa anche il dramma di Ibsen Quando noi morti ci destiamo) con una novella di Edgar Allan Poe, Il ritratto ovale. Anche qui, nella vicenda del ritratto che quanto più si perfeziona tanto più di vita leva alla modella, può essere vista una manifestazione di quel conflitto insanabile tra vita e forma che costituisce il tema centrale del dramma pirandelliano.

Caso del tutto diverso quello della discendenza assodata d'un altro dramma di Pirandello, l'Enrico IV, da un testo storiografico, di circolazione piuttosto ampia ma estraneo alla dimensione della letteratura: la Storia degli Stati medioevali nell'Occidente da Carlomagno fino a Massimiliano del tedesco Hans Prutz, sesto volume di una Storia universale in diciannove volumi diretta da Wilhelm Oncken, pubblicato in italiano nel 1899 (cfr. Gedda 1993). I riscontri testuali sono talmente puntuali e ampi e numerosi da attestare con certezza il rapporto diretto. Altrove ho cercato di mostrare come il testo non sia stato utilizzato da Pirandello solamente per fornire il décor dell'azione, ma anche per cooperare alla costruzione del carattere centrale del dramma, quello del sedicente Enrico IV (Morabito 1993). Resta comunque il fatto che l'opera di Prutz non suggerisce motivi né offre spunti all'intreccio o moduli espressivi, ma pare piutosto fornire degli inerti materiali di costruzione. Un po' come quei frammenti di edifici antichi inseriti in muri più recenti; se non che i frammenti storiografici inseriti nell'Enrico IV risultano meno riconoscibili, per la loro vicinanza cronologica al testo e per l'opera di assimilazione (o di dissimulazione?) compiuta da Pirandello. Qualora ci si chieda, allora, se questo rapporto intertestuale assodato è rapporto di filiazione, riesce difficile rispondere affermativamente.

2. DATI

2.1 Primo dato

Non mi risulta che Poe sia stato uno degli autori preferiti di Pirandello, anche se Domenico Vittorini, riferendo i propri colloqui avuti con lui a New York nel 1935, ricorda come egli ne abbia parlato « con grande ammirazione » (Pirandello 2006 : 1413).

Fra le novelle di Pirandello, nel volume intitolato Scialle nero, ce n'è una, piuttosto lunga (una quarantina di pagine in Pirandello 1993b), intitolata Il « fumo » (del 1904), che per un tratto particolare dell'intreccio ricorda da vicino un racconto di Poe, Gli assassinii della rue Morgue. Un episodio centrale del racconto è quello della morte di don Filippino Cicero. Don Mattia Scala, piccolo proprietario terriero, ha in progetto di acquistare il terreno del suo confinante, don Filippino Cicero, e intanto però gli ha prestato ripetutamente dei soldi, per farlo sentire obbligato a cedere a lui il podere, quando lo venderà. Di fatto don Filippino, scapolo e senza figli, è restio a privarsi della sua proprietà perché vuole mantenere la propria indipendenza, e con difficoltà si è indotto a promettere di vendere, ma solo dopo la morte di una scimmia, Tita, da lui molto amata come animale di compagnia e che si troverebbe a disagio nel chiuso d'un appartamento cittadino. Una mattina don Mattia si accorge che la casa di don Filippino, contrariamente al solito, resta chiusa fino a tardi. Chiama e non ottiene risposta. Si preoccupa; si rivolge a dei lavoranti che si trovano lì vicino, chiede se sanno qualcosa di don Filippino e ne ottiene risposte negative: quella mattina nessuno l'ha visto. Sempre più in apprensione, aiutato da quegli altri rompe il vetro d'una finestra, entra in casa e trova uno spettacolo raccapricciante: « Don Filippino giaceva sul letto col capo rovesciato indietro, affondato nel guanciale, come per uno stiramento spasmodico, e mostrava la gola squarciata e sanguinante: teneva ancora alzate le mani, quelle manine che non gli parevano nemmeno, orrende ora a vedere, così scompostamente irrigidite e livide ». E nella stessa stanza trovano la scimmia Tita: « – Guardate! – gridò allora lo Scala. – Sangue... Ha le mani... il petto insanguinati... essa lo ha ucciso! » (Pirandello 1993b : 68-69).

Non è che un elemento, seppur importante, della costruzione narrativa. Il nucleo dell'intreccio è rappresentato dalla vicenda di don Mattia, un tempo ricco, poi mandato in rovina dalla disonestà di Dima Chiarenza, un giovane orfano da lui beneficato e associato nei suoi affari ma che ha approfittato della propria posizione per derubarlo a man salva. Ritiratosi in campagna, don Mattia ha resistito alle pressioni delle imprese minerarie, che avrebbero voluto acquistare il suo terreno, ricco di zolfo. Ma dopo la morte di don Filippino viene alla luce che il suo erede è indebitato proprio con Dima Chiarenza e che il terreno di don Filippino è stato dato come garanzia del debito, sicché adesso è destinato a cadere nelle sue mani. Ostinato, Dima rifiuta di venderlo a don Mattia, e questi allora, esasperato, prende una decisione radicale: cederà la propria terra alle società minerarie, di modo che le esalazioni pestilenziali dello zolfo prodotte dalle miniere renderanno in breve tempo arida la campagna sua e quella dei suoi vicini, primo fra tutti il Chiarenza.

Come si vede, la morte di don Filippino non è che un elemento della trama; e non è importante dal punto di vista dell'intreccio il modo in cui egli muore, ma il fatto che muoia. Pure quel modo colpisce per la sua singolarità. Ed appare più che probabile una precisa reminiscenza del racconto di Poe, nel quale un sanguinoso caso di omicidio viene risolto dalla perspicacia di Auguste Dupin: è stato un orang-utang sfuggito al suo padrone che si è introdotto dalla finestra in una casa, dove ha massacrato una giovinetta e sua madre, e poi si è dato alla fuga, richiudendo dietro di sé la finestra, sì da lasciare gli investigatori davanti a un caso apparentemente insolubile: chiusa la finestra, serrata dall'interno la porta, come poteva essere entrato l'assassino?

La corrispondenza tra le due storie delle scimmie omicide è evidente. Anche se, diversamente che in Pirandello, in Poe tutto il meccanismo narrativo ruota attorno all'omicidio commesso dalla scimmia. Quello che in Poe è il perno della narrazione in Pirandello diventa materiale costruttivo che concorre alla strutturazione dell'edificio narrativo ma non ne costituisce il centro.

2.2 Secondo dato

Certamente scontato è il rapporto intrinseco di Pirandello con il conterraneo Giovanni Verga, con quello scrittore di cose (cfr. Pirandello 2006 : 1418) di cui sottolinea la dialettalità: « dialettale è il Verga. Dialettale, sì, ma come è proprio che si sia dialettali in una nazione che vive della varia vita e dunque del vario linguaggio delle sue molte regioni [...] E non è difetto degli scrittori italiani, né povertà, ma anzi pregio e ricchezza per la loro letteratura, se essi creano nella lingua la regione » (Pirandello 2006 : 1422). Dialettalità che, in questa accezione, lo stesso Pirandello condivideva, per esempio in racconti come Il « fumo », di ambientazione siciliana, con più specifico riferimento alla zona di Agrigento. Ma un'altra novella della raccolta La rallegrata, intitolata I tre pensieri della sbiobbina (del 1905), ci rivela un rapporto più sotterraneo tra i due scrittori. La storia narrata da Pirandello è semplice: Clementina, una ragazza rachitica e col fisico deformato passa il tempo a lavorare presso la finestra: « Lavora da mane a sera, con gentilezza e maestria, di scatolette e sacchettini per nozze e per nascite » (Pirandello 1993a : 72); si accorge che dalla casa di fronte un ragazzo la guarda, dando segno d'essersi invaghito di lei; ma quando ne parla a sua sorella Lauretta viene a sapere che si tratta d'un giovane « impazzito da circa un anno per la morte della fidanzata » (Pirandello 1993a : 76). La novella è breve (circa sei pagine nell'edizione Sedita) e per alcuni aspetti fa pensare a una novella inclusa in Per le vie di Verga: Il canarino del n. 15. Anche Malia, la protagonista verghiana, è rachitica e, non potendosi muovere, trascorre le proprie giornate alla finestra, e pure lei lavora: « faceva anche della trina, e un giovanetto della stamperia lì dicontro, al veder sempre dietro i vetri quel visetto, che era delicato e con delle pèsche azzurre sotto gli occhi, se n'era come si dice inamorato » (Verga : 22). Anche Malia ha una sorella, Gilda, che lavora presso una sarta: proprio come Lauretta, la sorella della sbiobbina, che « lavora da modista » (Pirandello 1993a : 72); e l'una e l'altra sono sane e attraenti. Clementina immagina fra sé il probabile incontro di Lauretta con un fidanzato: « Come si conosceranno? Per via, forse. Egli la guarderà, la seguirà; poi, qualche sera la fermerà. E che si diranno? » (Pirandello 1993° : 73). Una situazione come quella che ci prospetta Verga, quando ci mostra Gilda tornare a casa proprio col Carlini, il giovanotto che vagheggiava Malia alla finestra: « Ma poi lo vide che accompagnava la Gilda, passo passo, tenendo le mani nelle tasche, e si fermarono ancora a chiacchierare sulla porta » (Verga 2003 : 23). Ed anche a proposito del suo giovanotto Clementina si dice che forse non è a lei che sono dirette le sue attenzioni: « Forse avrà seguito Lauretta per via; avrà saputo che lei abita qua, dirimpetto a lui... » (Pirandello 1993a : 74). Equivoco plausibile, dato che lei « somiglia veramente un po' alla sorella » (Pirandello 1993a : 74); come agli occhi del Carlini « la Malia somigliava a sua sorella » (Verga 2003 : 24); e più sotto lo ribadisce: « somigliava tutta a sua sorella » (Verga 2003 : 26). Proprio la somiglianza con la sorella fà sì che una volta, brillo, il giovanotto si spinga a baciare Malia, che « non gridò: ma si mise a tremare come una foglia » (Verga 2003 : 26); così come Clementina resta « tutta tremante, con gli occhi sbarrati » quando il suo 'corteggiatore', in preda alla follia « le tende le braccia, le invia baci » (Pirandello 1993a : 75).

Lo sviluppo complessivo dei due racconti, nonostante questi elementi in comune, è ben differente. In Verga sotto gli occhi di Malia dapprima nasce un'intesa e un fidanzamento fra il Carlini e Gilda, che poi finisce per le irrequietudini e le ambizioni della ragazza, la quale se ne va di casa, abbandonando fidanzato e famiglia; e nel finale si assiste alla morte di Malia. L'intento dell'autore di Per le vie è di presentare un ambiente cittadino, socialmente basso, con le sue sofferenze e le sue meschinità; un quadro che deve fare da pendant alle rappresentazioni della vita rurale e paesana: in questo contesto va inserita la singola novella. Intento documentario estraneo al racconto di Pirandello, che va letto invece alla luce del suo umorismo: una situazione che non può non apparire paradossale ai suoi stessi protagonisti e che solo nella follia trova una spiegazione.

Francamente non so se e quanto Pirandello al momento di scrivere la sua novella avesse presente quella di Verga. Certamente comunque doveva conoscerla ed essa doveva agire almeno su una sua memoria inconsapevole. Nella quale ipotesi si tratterebbe di un caso d'intediscorsività: temi che si affermano come propri d'un ambiente culturale, d'una specifica tradizione, che affiorano con modalità variabili in testi differenti. I temi che è stato possibile rintracciare in ambedue le novelle suggeriscono, al di là delle differenze, il riconoscimento d'un territorio comune di appartenenza, su cui si possono sviluppare problematiche che, nonostante le divergenze e le soluzioni divaricate, sono in qualche misura condivise. (Del resto un'eventuale mancata consapevolezza del rapporto con un testo precedente non esclude una filiazione: si hanno i padri che si hanno, non quelli che si scelgono).

2.3 Terzo dato

Se da un lato Pirandello può tacere propri rapporti con antecedenti vicini, dall'altro attraverso tracce disseminate nel suo percorso letterario sembra voler suggerire una simpatetica corrispondenza con un autore cronologicamente e geograficamente ben più lontano.

« Mi credevo, sul serio, destinato a diventare niente meno che lo Shakespeare d'Italia » (Pirandello 2006 : 146): è Pirandello che in un articolo del 1896 riferisce delle parole di Capuana. Ambedue Luigi, ambedue siciliani, viene da chiedersi quanto l'uno, il più giovane dica dell'altro quello che pensa di sé e che non vuole dichiarare direttamente, magari perché vuole che siano altri, il suo pubblico, a riconoscerlo.

In Pirandello l'amore e la consuetudine shakespeariani vengono da lontano. Una esplicitazione pubblica è costituita nel 1898 dalla fondazione con Italo Carlo Balbo e Ugo Fleres del settimanale letterario Ariel, il cui titolo fa diretto riferimento a un personaggio shakespeariano, Ariel appunto, lo spirito dell'aria che nella Tempesta sta al servizio del mago Prospero. La suggestione shakespeariana era tornata più volte a esercitare i propri influssi nella carriera del drammaturgo Pirandello. Forse non platealmente, con quei personaggi che indossavano abiti borghesi novecenteschi; ma in certi titoli si può cogliere un riferimento ad alcuni titoli di Shakespeare. Così se la corrispondenza fra il Sogno d'una notte di mezza estate (A Midsummer Night's Dream) e il pirandelliano Sogno (ma forse no) è troppo generico, giocato sul rimando alla dimensione onirica, altre volte il riferimento appare più riconoscibile, anche se pur sempre vago: così è tra Twelfth Night, or What You Will e Come tu mi vuoi, fra All's Well That Ends Well e Tutto per bene, fra As You Like It e Così è (se vi pare). Mentre l'identità del titolo tra Henry IV e l'Enrico IV era tale da costringere Pirandello a cambiare il proprio quando il dramma doveva essere presentato a un pubblico di lingua inglese: « Ad Enrico IV ho dovuto cambiare il titolo e intitolarlo The Living Mask: La maschera che vive. E sapete perché? Perché tutti credevano che l'Enrico IV fosse quello di Shakespeare che ormai è notissimo. In America non si vede nel teatro il nome dell'autore, ma quelli dell'impresario e degli attori. L'autore scompare. Per me è stata fatta un'eccezione. I manifesti, le réclames luminose, gli annunci dei giornali nominavano il mio impresario e anche me »: così dichiarava in un'intervista del 1924 (Pirandello 2006 : 1230). I due testi si confondono, e la levatura dei due autori dovrebbe essere la stessa; ambedue figurano allo stesso titolo sui cartelloni. Forse tutto ciò non è molto: ma forse è abbastanza per chiedersi se, più o meno consapevolmente, Pirandello volesse istituire un parallelismo tra la propria carriera di drammaturgo e quella di colui che viene universalmente riconosciuto come il massimo autore del teatro moderno.

Negli ultimi giorni della sua vita Pirandello lavorava a quei Giganti della montagna che non sarebbe riuscito a portare a termine, e che per certi aspetti richiamano alla memoria uno degli ultimi drammi di Shakespeare: La tempesta. In Pirandello come in Shakespeare un ambiente separato dal mondo: l'isola incantata nel secondo, la villa detta La Scalogna, popolata di sogni e di magie, nel primo. L'una governata da Prospero con le sue arti magiche, l'altra dal mago Cotrone; e abitate ambedue da esseri deformi e degradati, come il Calibano shakespeariano o gli scalognati pirandelliani: popolate da « abitanti della terra non umani, [...] spiriti della natura, di tutti i generi, che vivono in mezzo a noi, invisibili, nelle rocce, nei boschi, nell'aria, nell'acqua, nel fuoco » (Pirandello 2007 : 903): così Pirandello. Mondi in cui i fantasmi e i sogni hanno una corposa realtà: « crediamo alla realtà dei fantasmi più che a quella dei corpi », dice Cotrone (Pirandello 2007 : 903), che poco prima ha anche detto: « i sogni, a nostra insaputa, vivono fuori di noi, per come ci riesce di farli, incoerenti. Ci vogliono i poeti per dar coerenza ai sogni » (Pirandello 2007 : 900). E nel quarto atto della Tempesta c'è una celebre battuta di Prospero: « Noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno » (Shakespeare 1956 : 1056; «We are such stuff As dreams are made on, and our little life Is rounded with a sleep», Shakespeare 1986 : 1335). Nella villa di Cotrone arriva a esercitare la propria arte una compagnia di attori, che ricorda i guitti che si presentano al castello di Elsinore nell'Amleto, e il testo che essa dovrebbe mettere in scena è La favola del figlio cambiato: quel testo in cui Camilleri, come abbiamo visto, ha segnalato uno dei punti focali dell'itinerario psicologico di Pirandello. Gli esiti dei due drammi saranno divergenti: risoluzione felice nella Tempesta, tragica nei Giganti della montagna, con la morte di Ilse dilaniata sulla scena dagli spettatori (quasi una rivisitazione del mito di Orfeo), a manifestare ancora una volta l'insanabilità di quel conflitto fra arte e vita che attraversa l'opera pirandelliana. Ma che lui, Pirandello, negli ultimi giorni della sua vita lavori a un dramma in cui è riconoscibile l'eco shakespeariana potrà essere considerato significativo.

In conclusione la seguente

3. DOMANDA

Se e con quale o con quali di questi autori:

- Poe

- Verga

- Shakespeare

intrattiene Pirandello un rapporto di filiazione?

Bibliografia

Camilleri, Andrea (2000). Biografia del figlio cambiato, Milano : Rizzoli.

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Pirandello, Luigi (2007). Maschere nude. Ed. Alessandro D'Amico con la collaborazione di Alessandro Tinterri, vol. IV: Opere teatrali in dialetto. Ed. Alberto Varvaro, Milano : Mondadori.

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Citer cet article

Référence électronique

Raffaele Morabito, « Un problema pirandelliano », Filiations [En ligne], 1 | 2010, publié le 23 novembre 2010 et consulté le 28 mars 2024. DOI : 10.58335/filiations.81. URL : http://preo.u-bourgogne.fr/filiations/index.php?id=81

Auteur

Raffaele Morabito

Professeur de littérature italienne à l’Université de l’Aquila, via dell’Industria Km 0,350, 67100 Bazzano – raffaele.morabito [at] cc.univaq.it